Lo chiamavano così il complesso edilizio che noi oggi indichiamo con il nome di villa Salvati. La volle Serafino Salvati agli inizi dell’Ottocento. Attribuita per tradizione al suo proprietario, ingegnere, recenti ricerche e studi ne hanno invece identificato l’autore del progetto in Giuseppe Camporesi (1763- 1822) di Roma, uno dei massimi architetti del Neoclassicismo italiano e il più interessante architetto del primo neoclassicismo romano.
Lo testimonia lo stesso Serafino Salvati in una lettera del 1816 rintracciata nell’Archivio di Stato di Roma (Camerale III, b 1442). Il terreno su cui sorge la villa lo aveva acquistato nel 1799, la costruzione si protrasse dal 1805 al 1820 e oltre.
Il Casino rispondeva a due esigenze fondamentali; esso costituiva un punto di osservazione e di controllo per la gestione delle proprietà fondiarie della famiglia ma anche luogo di rappresentanza e di “immagine” per la professione del Salvati stesso. Attività agricola dunque e immagine professionale, due funzioni completamente diverse; alla prima rispondeva l’esterno del Casino qual robusto corpo di fabbrica delle dimensioni non del tutto trascurabili, il terrazzo poi alla sommità con una balaustra in ferro battuto “è l’espressione tipica di quella funzione visivo-pratica, a cui l’edificio […] doveva assolvere”. Se l’aspetto esteriore denota il “gusto marcatamente neo-classico da grande casa padronale”, gli elementi interni- ne rivelano l’altra funzione di “immagine” e di “nobiltà acquisita”. Sono quelli tipici del neo-classico: la grandiosa scala dopo il grande vestibolo, le colonne bianche, la volta a botte con soffitti e cassettoni, le decorazioni floreali costituite da finissimo stucco bianco, gli affreschi a soggetto paesaggistico, un ambiente ottagonale con una notevole cavea dalla quale si poteva assistere a spettacoli teatrali ecc. “Il gusto Neoclassico anche se non sfacciatamente opulento, nei materiali con cui si realizza trova un’espressione che ben al di là si registra nella zona in cui si colloca l’edificio”. 23Saino A. A. e Cordiali S., op. cit., p. 291.
Sono queste “citazioni classiche” comuni nei lavori del Camporesi anche se il Casino Salvati, pur nella sua moltiforme attività di architetto pontificio dal 1786, sembra essere l’unica opera civile da lui costruita.
Accanto al Casino sorge la cappella di famiglia dedicata a S. Serafino per la quale nel 1819 la famiglia aveva ottenuto la concessione del vescovo. 24Urieli C. Archivio Diocesano – Visite Pastorali, p. 252. È disegnata secondo un puro stile Neoclassico, autonoma dal vicino edificio, se ne stacca decisamente evidenziando un contrasto formale con l’immagine esterna dell’edificio stesso. La cappella è impostata secondo una forma ideale di tempio rotondo “composta da una serie di colonne scanalate di ordine corinzio che anellano l’organismo interno, esaltandone così l’aspetto ideale cui tutto si ispira”. Nella chiesa per la sua volontà testamentaria fu sepolto Serafino Salvati nel 1835, un monumento funebre con effige, dovuto a Fedele Bianchini (1791-18167) lo ricorda.
Casino e cappella verso la fine degli anni venti erano completati; a quegli anni, al 1828 risale la pietra miliare, ancora infissa all’inizio del viale che – introduce alla villa, dove sono incise alcune distanze: dal Massaccio miglia VI, da Ancona miglia XXV, da Monte Roberto miglia II, da Jesi miglia V.
Una decina d’anni prima Serafino Salvati aveva chiesto al Comune di poter convogliare nei pressi del Casino le acque di un fosso che, per questo, dovette “intersecare la pubblica strada presso la Chiesa del Trivio, o Pianello. E perché questo passo non abbia a rendersi incomodo a veruno de passeggeri”, attivando il corso d’acqua, il Salvati si impegnava a costruirvi a sue spese “un ponte ad occhio ben murato eguale all’altro formato dal suddetto nel seguito di detta strada di rimpetto al viale del detto Casino”. 25ASCMR, Consigli (1809-1827), p. 104, 29 maggio 1827.
Sul tracciato di un antico viale ad olmi come risulta da una mappa del 1766, Serafino Salvati aveva costruito un nuovo viale alberato al termine del quale fece innalzare un obelisco in mattoni, chiamato oggi “gugliola”. Casino e cappella di famiglia con altro corpo di fabbrica dalle medesime caratteristiche che avrebbe dovuto sorgere simmetricamente ad est dell’edificio principale, facevano parte di un più ampio progetto che avrebbe ridisegnato completamente tutta l’immagine geografico-territoriale limitrofa. Così anche il viale con il piccolo monumento ad obelisco “avrebbe dovuto far parte di un disegno più generale costituito da punti cardinali su cui scolpire nel territorio l’immortalità della famiglia Salvati”. 26Saino A. A., e Cordiali S., op. cit., pp. 249-250, 304-305. A questa tesi si rimanda per una più approfondita analisi del manufatto. Montironi Angela, a cura di, Nel segno di Napoleone. Ville e dimore marchigiane tra Settecento e Ottocento, Macerata 2002, pp. 128-139.