“Le strade di questa città, Borghi e Castelli di questa nostra Giurisdizione […] si rendon impraticabili per l’immondizie che in esse si gettano”. Era la prima costatazione, per la quale si sentivano ogni giorno lamentele, che faceva il Governatore mons. Giacomo Fantucci nel suo editto del 15 giugno 1673, elencando poi altri episodi di una situazione igienica pubblica non certo encomiabile.
Terra, letame e paglia venivano ammassati presso le mura della città e dei castelli, escrementi o altre immondizie erano gettati dalle finestre sulle strade imbrattandole; anche chi allevava bachi da seta in paese gettava sulla pubblica via le relative lettiere con la foglia dei gelsi avanzata, le erbacce sulle mura potevano nascondere “serpi e altri animali velenosi”. Per tutte le immondizie gettate in strada si davano quattro giorni di tempo per toglierle “sotto pena di tre scudi per ciascheduno che non le levarà” […] e di altre pene à nostro arbitrio etiam corporali”; per le erbacce sulle mura c’erano cinque giorni di tempo “sotto pena alli contraventori d’un scudo per ciascheduno”. 1 A. Nocchi, R. Ceccarelli. Editti e Bandi del sec. XVII, cit., pp. 38-39.
L’editto riguardava tutto il contado e pensiamo che anche Monte Roberto non fosse esente da queste consuetudini, si deve tuttavia rilevare che esso non avesse tanta efficacia nonostante le pene previste: bandi come questi erano periodici, evidentemente non venivano osservati o non venivano fatti osservare.
Prescrizioni per l’igiene delle strade erano state fatte molti anni prima negli Statuti della città e contado, 2 Statuta sive Sanctiones et Ordinamenta Aesinae Civitatis, cit., liber quartus, rub. XXIIII, c. 80r. governatori e magistrature locali non si stancavano di intervenire senza però essere ascoltati e forse anche senza tanta convinzione nonostante le espressioni formali. Il paese del resto per secoli, come tutti gli altri, non ebbe una rete fognante e un servizio di nettezza urbana come oggi; le strade, gli angoli delle case, i crocicchi erano ricettacoli di ogni immondizia con il conseguente pericolo, spesso purtroppo realtà, di pestilenze e infezioni.
Strade così, all’interno del castello, erano luoghi preferiti dai maiali che venivano lasciati liberi di vagare per ogni dove alla ricerca di cibo con scorrerie anche nel vicino cimitero nei pressi della chiesa, con tutti i disagi che si possono immaginare. Il problema era antico, tanto che gli stessi statuti avevano previsto di tenere lontano i maiali dalle piazze e dalle strade delle città e dei castelli, 3 Ivi, liber quartus, rub. XXIII, De porcis tenendis & quomodo, c. 80r. la normativa tuttavia fu disattesa anch’essa per secoli.
Nel 1610 il Consiglio della Comunità di Monte Roberto fu chiamato a discutere su “che pare di fare per rimediare alli porci et altri animali che vanno per le strade comuni dove fa cativo odore a tutti”, e decise che i Quattro debbono far pubblicare un bando […] che nessuno possa tenere et lasciare andare per le piazze dentro il Castello porci di nessuna sorte né piccoli né grandi sotto pena di mezzo scudo per ciascuno e ciascuna volta”. 4 ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 68r/v, 23 maggio 1610.
La proibizione, come al solito, non ebbe molto ascolto, se qualche anno dopo, nel 1615 alcuni maiali di proprietà di abitanti all’interno del castello entrati nuova chiesa di S. Carlo, imbrattarono e stracciarono le tovaglie ed i paramenti dell’altare. 5 Ivi, c. 145r, 15 febbraio 1615.
Il problema non era solo di Monte Roberto, altri paesi e la stessa Jesi dovevano affrontare situazioni analoghe senza tuttavia conseguire grossi risultati, almeno stando ai bandi e agli editti dei governatori che si sono ripetuti ininterrottamente per tutto il Seicento.
In Massaccio, ad esempio, si susseguirono non solo gli editti che riguardavano tutto il contado, ma governatori, priori e segretari ne fecero di specifici richiamando la normativa vigente senza mai però risolvere il problema che perdurò anche dopo l’unità d’Italia; il Regolamento di Polizia Urbana del 1863 infatti all’art. 14 recitava: “È proibito far e pascolare maiali nell’interno di Cupramontana e nei luoghi pubblici”. 6 A. Nocchi, R. Ceccarelli, Editti e Bandi del sec. XVIII, cit., p. 41. Ceccarelli Riccardo, Come uno di casa. Il suino nelle Marche, Ancona 2009. 4a edizione.
Identici episodi come a Monte Roberto si erano verificati con maiali che entravano nelle chiese sia nel 1659 come nel 1765, 7 Ivi, p. 30. uno di questi addirittura fece cadere a terra un sacerdote che in processione, come allora si usava, portava l’Eucaristia ad un infermo. 8 ASCC, Consigli IX (1653-1663), c. 106v, 11 maggio 1659.
Somma precauzione delle autorità era poi quella di tener pulite le fonti. Erano queste essenziali per la vita della comunità: vi si attingeva acqua per uso alimentare e domestico, nei pressi si lavavano i panni ed ogni sorta di mercanzia, c’erano abbeveratoi per gli animali ecc. Gli statuti già nel Quattro-Cinquecento avevano prescritto che presso le pubbliche fontane della città e del contado non si lasciasse alcuna immondizia tutelandone cosi la pulizia e proibendo l’utilizzo dell’acqua nelle immediate vicinanze in lavaggi particolarmente inquinanti. 9 Statuta sive sanctiones et ordinamenta Aesinae Civitatis, liber quartus, rub. XXVIII, c. 80.
Nonostante queste prescrizioni e divieti anche per le fontane gli editti e i bandi dei governatori si ripetevano periodicamente. Erano le acque degli abbeveratoi che spesso “si rendono putride” con “lavare panni, e matasse gramigne, ed altri erbaggi, e persino l’interiora delle bestie macellate”.10 A. Nocchi, R. Ceccarelli, op.cit., pp. 38-39.
Le autorità comunali comunque non trascuravano di fare lavori di manutenzione e di ristrutturazione ai serbatoi di captazione delle fonti e alle strutture circostanti. I lavori presso “il cistemino, i trochi o lavatoio di Fontestate” o la pulizia di Fonte della Ciampana o di quella del Crocifisso 11 ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), c. 93v (1746); c. 127r (1753), c. 137v (1755). se erano di ordinaria amministrazione, erano affidati ai salariati comunali (come ad esempio al moderatore dell’orologio), per quelli invece di ristrutturazione o di ampliamento si ricorreva a muratori ed operai esterni. Queste pubbliche fontane furono utilizzate dall’intera popolazione fino agli inizi del Novecento quando fu realizzato l’acquedotto comunale 12 I lavori furono fatti in consorzio con Cupramontana, Maiolati, Castelbellino tra il 1903 e il 1906. rimasero ancora lavatoi ed abbeveratoi per altri decenni ancora; attualmente, dopo un intervento restaurativo (1999) con i fondi europei, hanno una periodica manutenzione.
Categoria: 8 – IL VISSUTO QUOTIDIANO
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221 8.1 L’IGIENE PUBBLICA
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223 8.2 L’ILLUMINAZIONE NOTTURNA
Non è senza interesse e curiosità che si leggono le ragioni e le motivazioni addotte dalla Magistratura di Monte Roberto nel proporre al Consiglio Comunale nel 1849 l’approvazione del “progetto per l’illuminazione notturna da attivarsi all’interno del paese”.
“Con il progredire dell’incivilimento dei Popoli, è scritto nella relazione, si accrebbero ognora i bisogni della vita Umana. Da questi sorsero i tanti nuovi ritrovati, le vantaggiose scoperte, l’ingrandimento del ‘commercio, il perfezionamento delle Arti. Ciò, che una volta non conoscevasi, divenne utile dapprima, poi necessario, e dalle grandi città, ove ogni elemento civile sviluppasi con maggiore facilità, propagossi gradatamente fino ai più alpestri villaggi. Così senza dubbio avvenne dell’illuminazione notturna, di cui debbasi oggi tener proposito. Gli antichi nostri Padri dediti nella massima parte all’Agricoltura ritiravansi sull’imbrunire alli loro focolari stanchi delle sofferte fatiche del giorno. A poco a poco le esigenze del lusso, le relazioni sociali indussero gli uomini ad impiegare anche porzioni della notte e lavori Artistici, e nei Studi; e nell’onesto e dilettevole conversare. Quindi le Contrade dei colti luoghi si videro di notte popolate al pari del giorno. Siccome però i tristi, di cui purtroppo abbonda anche in questi tempi di Civiltà, poterono col favore del buio farsi strada alla rapina, all’assassino, al delitto, ed allo sfogo delle più brutali passioni, così fu di mestieri trovare una guarentigia ai pacifici Cittadini nell’attivazione dei Fanali, che con la loro luce avrebbero disperso i traditori sempre vili, e timidi di quella, come i più schifosi animali. Al presente diffatti non evvi Paese, e direm quasi Borgata, che non abbia adottata l’illuminazione notturna. Noi soli adunque vorremmo restarne privi, Noi, che in tante circostanze, per quanto il consentirono le nostre forze seguimmo i movimenti dei più svegliati Municipj? Noi, che ne sentiamo un reale bisogno per i pericolosi, ed oscuri sentieri, che esistono nel Paese? Nò, non sia vero. Il Popolo dessidera l’illuminazione nottúrna, e deve essere soddisfatto. Anche la Guardia Cittadina, che è una parte eletta del Popolo, la brama, perché con tale beneficio potrà meglio vegliare alla difesa del Paese, e dalla pubblica Sicurezza senza tema di essere proditoriamente aggredita. Non dee badarsi ad un piccolo sagrificio d’interesse, quando l’utile, che se ne ricava è grande, e lo sorpassa. Convinti Noi di questa verità, ad onta delle strettezze della Nostra Finanza, sottoponiamo con fiducia alla vostra approvazione il seguente progetto”. 13 ASCMR, Consigli (1843-1849), 29 aprile 1849.
Dopo una così ampia relazione, che non manca anche di qualche eco del momento politico che si stava vivendo (la Repubblica Romana), la proposta non poteva che essere approvata all’unanimità.
Il progetto prevedeva l’installazione per il mese di luglio 1849 di “due lampioni di prima classe all’interno del Paese” e di un terzo, “a lanterna” fissato al muro in contrada Poggetto, all’angolo cioè tra l’attuale via Francesco Giuliani e via Gaspare Spontini.
Solo in parte era vero che “al presente […] non evvi Paese, direm quasi Borgata che non abbia adottata l’illuminazione notturna”, erano gli anni che si stava progettando un po’ ovunque nei paesi, ma dappertutto ancora non c’era. Jesi l’aveva realizzata nel 1831; 14 Cinti Vitaliano, Vivere a Jesi nell’Ottocento, Jesi 1982, p. 201. Massaccio ne aveva parlato per la prima volta il 14 marzo 1836 15 ASCC, Consigli XXVI/I, pp. 90-91. si dovettero però attendere ben ventidue anni, cioè il 1858, prima di vedere Concretizzato il progetto 16 Ceccarelli Riccardo, Olio, petrolio elettricità: cinquant’anni di pubblica illuminazione, in Cupra Notizie (supplemento a Il Comune di Cupra Montana) edito nell’agosto 1991 in occasione dell’inaugurazione del nuovo impianto di illuminazione pubblica.
Tre lampioni a Monte Roberto, dieci a Massaccio, cinquantanove a Jesi, erano ben poca cosa, ma notevole per l’epoca se pensiamo che fino ad allora Jesi ed i nostri paesi vivevano di notte nel buio più completo, solo di tanto in tanto in occasione di qualche festa importante la notte veniva illuminata con qualche “luminaria”, per il resto si circolava da sempre con torce o lanterne in mano per rischiarare la strada.
Parigi, per fare un esempio, ebbe l’illuminazione notturna solo nel 1667: lampioni con una sola candela che durava all’incirca dal crepuscolo fino a mezzanotte, venivano accesi dal mese di novembre fino a febbraio, solo dal 1671 si arriverà fino a marzo. A Londra invece i lampioni si accendevano solo nelle notti senza luna.
Inizialmente nei lampioni si usava olio di oliva, poi attorno al 1860, a Cupramontana, si cominciò nel 1864, si cominciò ad usare il petrolio.
La luce elettrica, anche per la pubblica illuminazione, fu introdotta nel 1910 incaricando la Ditta Fazi-Cerioni di Cupramontana per la realizzazione della apposita linea per Monte Roberto e Castelbellino. 17 ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1909-19 12), 30 ottobre 1910, p. 47.
A Pianello dove ancora non c’era l’illuminazione elettrica, erano in funzione due lampioni a petrolio. -
225 8.3 IL FORNO
A Jesi e nei castelli c’erano forni di proprietà pubblica “forni del pan venale” dove il pane si vendeva a prezzi calmierati e forni liberi, “forni de’ particolari”, che il Comune ugualmente vigilava controllando il peso e la qualità del pane.
Gli statuti avevano prescritto norme sia per i fornai 18 Statuta sive sanctiones…, liber quartus, rub. III, “De fomariis”, c. 71r/v. che per i venditori di pane 19 Ivi, rub. VI, “De panivendulis”, c. 73r/v. soffermandosi anche sulla qualità del pane che doveva essere ben cotto e sugli aspetti igienici della sua commercializzazione: sopra il contenitore del pane doveva esserci una tovaglia bianca e bella per coprirlo (“unam toballiam albam et pulcram cum qua teneant copertum panem”), né il pane poteva essere toccato ma indicato al momento dell’acquisto con un apposito bastone.
Anche i Governatori nei loro editti prescrissero ai fornai di fare “pane buono e di giusto peso”. 20 Editto del Governatore mons. Jacopo Angeli del 15 luglio 1651, ‘n A. Nocchi, R. Ceccarelli, Editti e bandi del sec. XVII, cit., p. 23. Alle norme generali se ne aggiungevano altre (“capitoli”) al momento del periodico appalto dei forni da parte del Consiglio della Comunità.
L’asta relativa avveniva a Jesi nel Palazzo Priorale come quello del Camerlengato Ordinario; il Consiglio però nel 1781 si rivolge alla Congregazione del Buon Governo chiedendo di poter fare l’asta a Monte Roberto come già vi si svolgevano quelle per il macello, per la “Foglia dei Mori Celsi”, per lo scapeccio della pubblica selva ecc. Le motivazioni addotte erano le difficoltà per i viaggi a Jesi, le spese per la cavalcatura e il pranzo di quanti dovevano assistere all’asta stessa 21 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 9v, 11 marzo 1781; la richiesta non ebbe risposta positiva, infatti il 14 luglio 1784 il “trasatto” del forno del pane venale si svolse come sempre a Jesi (Ivi c. 56v).
Nonostante gli editti dei Governatori e le clausole molto dettagliate che regolavano l’affitto dei forni, il servizio prestato dai fornai con qualche frequenza era soggetto ad osservazioni critiche e a reclami.
Nel 1667 in Consiglio si lamenta che il “panifacolo” non cuoce il pane nel forno della Comunità, 22 ASCMR, Consigli (1665-1676), cc. 52v e 53f, 29 settembre 1667. mentre nel 1733 l’abate Stefano Consoli, Vice-gerente in assenza del Governatore, “minaccia pene severissime contro il publico fornaro che non tiene pane sufficiente ed in specie il pan bruno che è quello necessario per li poveri ed in oltre che il poco pane che si vende è male custodito e non ben cotto”.23 ASCMR, Registro delle lettere de’ Signori Superiori…., c. 48r, 12 giugno 1733.
L’affittuario del forno Giuseppe Antonio Bianchi nel 1760 è fatto oggetto di pesanti recriminazioni: non cuoce bene nel forno pubblico il pane che alcuni fanno in casa, come invece era previsto nei “capitoli” di affitto, trattiene “a suo uso di casa” le fascine che gli vengono date per scaldare il forno (“per ogni tavola di pane due fascine […] ed una pagnotta per mercede e la tavola s’intende di sedici Pizzicate, o palate, e la Palata costa otto Pagnotte”), tanto che, “abbenché ritenga longo tempo [nel forno], pure il pane [è] molliccio e si riammassi”, inoltre si sente dire che voglia pretendere introdurre a suo favore la privativa, con obbligare li particolari di questo luogo a servirsi del solo forno di questo Publico che egli tiene in affitto, non debbano valersi della libertà che ognuno ha di cuocere il pane in qualunque forno gli piace”. 24 ASCMR, Consigli (1756-1766), cc. 119v e 120r, 3 febbraio 1760.
Il forno poi doveva servire solo per cuocere il pane, “e però non possa il fornaro in alcun modo, né in alcun tempo servirsi di detto forno per seccare legna, o frutti di veruna sorte, né bocci da seta, né filati né panni”. Doveva altresì il fornaio cuocere bene il pane e se per imperizia o negligenza “facesse venire il pane malcotto o brugiato debba pagare alli panizzanti col prezzo in denaro alla ragione della tariffa corrente”. 25 ASCMR, Trasatti (1755-1788), c. 17v, 18 giugno 1777.
Con l’affitto dei forni si guadagnava bene: le clausole sottoscritte non sempre venivano osservate, si provava a barare sul peso e sulla qualità del pane, si cercava di non pagare il grano al prezzo di mercato, si approfittava dei tempi di carestia ecc. 26 Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. IV, pp. 296-297. e questo nonostante le normative dei bandi dei Governatori.
Se così era in città e nei paesi più popolosi, a Monte Roberto ci si è trovati in qualche occasione a non avere alcun concorrente per l’affitto del forno a motivo dei “Birri [guardie] del Governo di Jesi che arrivando in paese prendono il pane senza pagarlo”, e dovevano essere non pochi e non poche volte a farlo, se non si trova chi partecipa all’asta del forno proprio per questa ragion, il Consiglio della Comunità comunque decide di ricorrere alla Consulta e alla Congregazione del Buon Governo. 27 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 93r, 13 luglio 1788.
Il prezzo del pane era fissato periodicamente (anche ogni 15 giorni da Gonfaloniere e dai Priori di Jesi a seconda del prezzo del grano registrato sulla piazza e al mercato, ad esempio il 1 e il 15 settembre e il 1 novembre 1758 una soma di grano rispettivamente si pagò scudi 3.70, 4.10 e 4.40 da aggiungervi 30 baiocchi di tassa per soma; con un paolo (10 baiocchi) invece il 1 settembre si comprava 15 libbre di pane bruno, 13 libbre e 7 once e mezza il 15 sette libbre e 9 once il 1° novembre, con lo stesso denaro si poteva acquistare, alle date, “pane bianco” del peso progressivamente diminuito di quattro libbre. 28 ASCC, Miscellanea (1751-1760), IX.
“Pane bianco” e “pane bruno”, cioè di prima e seconda qualità; il secondo, cui facevano ricorso i più poveri e la gente di campagna, era fatto con farina poco stacciata o mista a farina di ghianda o di granturco, se non addirittura di sole ghiande, granturco, miglio o panico in tempi più difficili. Il “pane bruno” doveva essere sempre disponibile, insieme al “pane bianco”, nei forni del “pan venale”.
Chi si aggiudicava l’asta del forno doveva dare una garanzia approvata a sua volta dal Consiglio della Comunità, così il 7 settembre 1783 per Silvestro Paolucci “deliberatario del Forno del Pan Venale di questa Comunità a sfamo del Popolo di questo Paese” fu accettata la garanzia di Giulio Paolucci; lo stesso giorno fu accettata la garanzia di Domenico Giovanni Moretti per suo figlio Bernardino 29 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 43v.”fornaro del Pane de Particolari di questo luogo”. -
227 8.4 IL MACELLO
Probabilmente le prescrizioni stabilite dagli statuti di Jesi che riguardano i macellai e le rivendite di carne sono tra le più ampie e le più minuziose.30 Status sie sanctiones…., liber quartius, rub. X. Cc. 75r-76v; “De beccariis et qualiter eorum artem debeant exercere” In essi si parla espressamente dei macelli della città di Jesi; le stesse norme però erano valide per quelli dei castelli dove, come in città, esse di volta in volta venivano fissate, le più importanti e le più funzionali alle circostanze, nei “capitoli” di appalto del pubblico macello, tra i quali insieme alle disponibilità delle varie specie di carni, si prevedeva per ognuna anche il prezzo.
Le norme igienico-sanitarie sono precise e puntuali sia per la macellazione delle carni e la loro conservazione come per la vendita.
I macelli pubblici della città e, si preciserà durante il Cinque-Seicento, dei castelli, dovevano avere a disposizione carni di maiale e vaccine (bove, manzo, vacca, vitella), ovine (castrato, agnello, pecora, capra, capretto, caprone o “stambecco”) e pollame (gallinacci, polanghe [tacchini]), in particolare poi non dovevano mancare nei periodi di Natale, carnevale e Pasqua, con prezzi che variavano prima o dopo questi tempi.
La disponibilità delle carni, dicevano gli statuti, doveva essere “abundanter et sufficienter”, tutti dovevano avere la possibilità di scelta al momento dell’acquisto. I macellai di città, si precisava ancora negli statuti, devono tenere, col permesso dell’autorità, e vendere a chi l’avesse voluta, carne di capriolo, di cinghiale e di cervo (“libram camium caprioli […], porci salvatici et cervii”).
L’annuale affitto del macello andava dal sabato santo al giovedì santo dell’anno successivo; per il 1782-83 a Monte Roberto se lo aggiudicò Pietro Antonio Sassaroli da Maiolati che lo aveva avuto in precedenza e che lo avrà per quasi dieci anni ancora. Nei “capitoli” da lui sottoscritti per quell’anno, vi è anche la lista delle carni disponibili con il relativo prezzo a libbra: vitella, tre baiocchi; castrato, tre baiocchi; bove, due baiocchi e due bolognini; capretto, tre baiocchi.31 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 25r/v, 25 marzo 1782; c. 105r/v, 19 marzo 1789.
Non vi è alcun accenno alle carni di maiale né al pollame, il Sassaroli non le teneva; in una piccola comunità come Monte Roberto non vi era richiesta di queste carni in quanto tutte le famiglie, anche in paese, allevavano un maiale per uso domestico ed avevano polli; i contadini poi ne allevavano anche per i loro padroni
L’affittuario del macello probabilmente non faceva grossi affari a Monte Roberto, se il Sassaroli al momento della stipula del contratto di affitto per il 1782-83 chiede al Comune in prestito la somma di dieci scudi con il consenso del Governatore di Jesi: se occorre – scrive – si dia anche di più, “purché il paese resti proveduto di carni”32 Ivi, c. 25v.. -
228 8.5 L’ASSISTENZA SANITARIA
Gli statuti avevano previsto un solo medico per gli abitanti di Jesi e del suo contado, eletto dal Consiglio Generale della città e Contado e riconfermato ogni anno, doveva visitare gli infermi di Jesi e dei 16 castelli. 33 Statuta sive sanctioneg…, liber primus, rub. XXXIII, c. 14r, “De electione medicorum”. Il compito era praticamente impossibile, così i castelli nel corso del Quattrocento e del Cinquecento si dotano di un chirurgo o “cerusico” e di un medico. 34 Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. IV, p. 387.
Per Massaccio la prima notizia di un medico e chirurgo è del 1471, è Maestro Sante di Giovanni di Fabriano; si ricordano poi Maestro Gaspare di Francesco da Serra S. Quirico, cerusico; nel 1509 e 1522 e nel 1511 Piergentile Cerioni di Massaccio, “Barbiero” cioè cerusico. Erano, scrive il Menicucci, “medici e chirurghi venturieri”, cioè non stabili né stipendiati né nominati dal Comune, a questo ci si arrivò con l’elezione del primo medico condotto avvenuta il 7 ottobre 1552 di Maestro Giovanni Capponi di Massaccio a “medico fisico e chirurgo”, con lo stipendio annuo di 80 fiorini. 35 Menicucci F., Varie notizie istoriche di Cupra Montana o sia Massaccio, vol. I, c. 90r, Archivii Parrocchiale S. Leonardo, Cupramontana, Fondo Menicucci; l’autore cita il Catasto del 1471 gli atti del notaio Federico Angelelli e il vol. IV degli Istrumenti e Trasatti, c. 13,7 ottobre 1552
Per Monte Roberto la documentazione rimastaci ci indica nel 1592 la prima presenza di un cerusico, Messer Fabio, ricordato anche nel 1594. 36 ASCMR, Entrate e uscite (1585-1597), c. 76r (1592), c. 85r (1594). Questi “capitoli” concordati per la condotta del “cirugico” Messere Bartolomeo Giustini 6 dicembre 1601: “Che il detto Cirugico sia obbligato medicare nel suo esercitio per un anno incominciando alli 9 di dicembre 1601 come nella sua condotta il Populo di Monte Roberto in ogni evento et ogni cosa necessaria ad esso esercitio. Item, che il detto Cirugico sia obbligato di giorno e di notte à tutte l’ore che sarà chiamato da qualsivoglia persona del nostro castello. Item, che non solo sia obligato alli homini et donne che stanno nel castello ma nel borgo et nella valle et nelle loro posessioni. Item, che non solo sia obligato al detto Populo ma ancora alli lavoratori delli homini di questo nostro castello benché fussero lavoratori stranieri; per il qual Cirugico meriti il cavallo non havendolo però detto Cirugico”. Lo stipendio del Giustini era previsto in 35 scudi all’anno, 25 da prendersi sul bilancio comunale (“tabella”), gli altri 10 “si paghi per famiglia o per testa” 37 ASCMR, Trasatti (1566-1614), c. 313v.
Come previsto dagli statuti la “riferma” era annuale o anche per un triennio. Il “cirugico” era una specie di infermiere moderno, specializzato in far salassi, cavar sangue cioè, applicare sanguisughe e coppette, “flebotomo” come era chiamato fino a non molti decenni fa, addetto alla “bassa chirurgia”.
Del 1620 circa è la nomina del dott. Giorgio Angeli, medico e chirurgo, gli succede nel 1642 il dott. Giovanni Antonio Dani dal Massaccio (1696-1671) 38 Menicucci F., Dizionario istorico de’ Cuprensi Montani, Torno IX delle Antichità Picene del Colucci, Fermo 1790, pp. CIX-CX. che regge la condotta anche di Castelbellino; l’anno successivo ritorna il dott. Angeli che chiede, due anni dopo, un aumento di stipendio, il Consiglio non lo concede ma delibera di non fargli pagare le tasse, in considerazione della “pochissima provisione rispetto alla tanta fatica ch’esso Sig. Giorgio patisce in visitare e curare l’infermi”. 39 ASCMR, Consigli (1639-1651 ), cc. 102v e 103r, 6 agosto 1645.
Con il dott. Angeli sembra essere iniziata la condotta medica in comune tra Monte Roberto e Castelbellino, non tutti però erano contenti: uno dei membri del Consiglio di Monte Roberto, Flaminio Anibaldi, espresse parere contrario verso il dott. Rutilio Salvati nel 1643 pur avendone la comunità grande bisogno, se non lasciava Castelbellino e veniva ad abitare a Monte Roberto. 40 Ivi, c. 169r, 24 gennaio 1649. La soluzione si troverà in seguito, obbligando il medico a risiedere sei mesi a Castelbellino e sei mesi a Monte Roberto.
Il dott. Giovanni Antonio Ferranti di Massaccio (1652-1708) 41 Menicucci F., op. cit., p. CXXVIII . nominato nel 1681 con l’obbligo di abitare sempre a Monte Roberto deve affrontare quattro anni dopo la protesta della gente, “i cittadini, si legge in una lettera al Governatore, si sentono malamente serviti e molto strapazzati”. 42 ASCMR, Consigli (1676-1698), c. 115v.
Avere il medico e il chirurgo era un diritto garantito per tutti, comunque il Consiglio della Comunità di Monte Roberto l’8 agosto 1694 stabilisce che chi non pagava le “collette delle bestie”(e si riferiva in particolare ai coloni di S. Apollinare, a quelli cioè dei beni dell’Abbazia) non avrebbe goduto delle prestazioni sanitarie né del medico né del chirurgo. 43 Ivi, c. 219v.
Ad un anno dalla sua elezione il dott. Antonio Silvio Marchesini chiede, il 9 agosto 1711, di essere riconfermato: in Consiglio la richiesta passa con un solo voto di maggioranza, 11 si e 10 no, è approvato infatti il parere del consigliere Amanzio Mancia “con la conditione però che essendo rifermato sia tenuto a prender moglie nel termine di due mesi, non essendo conveniente che habbia ad esercitare tal carica per esser giovine, negando ciò alle povere zitelle la confessione delle loro varie imperfettioni, che giornalmente a[lle] mede[si]me succedono, e non prendendo moglie nel termine come sopra, s’intenda subito escluso, et in tal caso dopo il detto tempo stabilitoli eserciti tal carica, che non debba la nostra comunità stipendiarlo, ma li Quattro pro tempore debbono venire alla nuova elettione, altrimenti siano tenuti a pagarlo del proprio, et in caso di contraventione intendo fare ricorso in Sacra Congregatione e bisognando anche ad santissimum [cioè al Papa], tanto contro il detto medico quanto contro li trasgressori; come anco che non possa pernottare fuori, etiam con licenza de Quattro sotto pena di uno scudo per ciascuna volta”.
A tal proposito Carlo Girolamo Colini aggiungeva: “Son di parere che al medico Marchesini gli sia data la riferma stante il suo buon servizio e se le giovani non si vogliono far medicare facciano chiamare ai medici vecchi”. 44 ASCMR, Consigli (1711-1735), cc. 3v e 4r. La delibera, come al solito, sottoposta all’approvazione del Governatore veniva da questi, mons. Melchiorre Maggio, dichiarata nulla in data 17 agosto ordinando una nuova riunione del Consiglio sullo stesso argomento e “annunciando che in avvenire li consiglieri si astenghino di far simili proposte ridicole perché saranno severamente puniti a nostro arbitrio”. 45 Ivi, c. 4v. Il dott. Marchesini comunque il 28 agosto 1711 presentava lettera di rinuncia alla condotta. 46 Ivi, c. 8r.
Se il dott. Marchesini aveva trovato difficoltà alla riconferma per esser celibe, il dott. Domenico Zaccagnini di Staffolo, nominato l’8 maggio 1712 trova analoga difficoltà alla riconferma proprio per essersi sposato a Monte Roberto. Il Governatore fa riproporre la nomina in Consiglio che ugualmente la respinge, al medico tuttavia si precisa che “non abbia ad assentarsi più di una notte e che debba visitare tutti indistintamente e cavalcare tutte le bestie e non soltanto cavalli e cavalle”. 47 Ivi, c. 39r, 23 aprile 1713; c. 41v, 14 maggio 1713.
Subito dopo è nominato il dott. Saverio Esuperanzio Giacomini di Cingoli già conosciuto a Monte Roberto per esserci stato dal 1694 al 1704, al momento della nomina è medico condotto a Montesicuro. Al Giacomini sono garantiti lo stipendio di 60 scudi all’anno e l’abitazione, deve visitare la popolazione del castello e “tutta la campagnia, al di quà del Fossato senza cavalcatura, ma passando il Fossato debbano li contadini et altri tutti che stanno fuori di detto fosso e sul suo territorio provedergli la cavalcatura”, 48 Ivi, c. 44r, 25 giugno 1713. “e ciò, si aggiungerà qualche anno dopo, a causa che possi ricondursi a casa con ogni prontezza per l’occasioni [che] possono nascere”. 49 Ivi, c. 129v, 23 ottobre 1713.
Riconfermato nel 1726 il dott. Domenico Silenzi, medico condotto dal 1721, gli viene fatto obbligo “di non visitare il Colono dei PP. Grottaroli” (gli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona dell’Eremo delle Grotte di Massaccio) che non vuol pagare le tasse al Comune nonostante l’imposizione della Congregazione del Buon Governo, e quanti altri si rifiutassero di pagare. 50 Ivi, c. 200v, 17 marzo 1726.
Al dott. Orazio Scorolli si riconferma la stessa proibizione e gli si minaccia la perdita della condotta medica se non pernotterà nel castello, 51 Ivi, c. 202r/v, 23 giugno 1726. il divieto inoltre di visitare “li coloni delli PP. Eremiti Grottaroli” è accompagnato dalla sanzione di far pagare al medico “giulij 3 per ciascuna volta che anderà a visitare qualsivoglia persona delli detti Padri, quali giulij si doveranno ritenere dalla sua provvigione, perché non pagavano le tasse”. 52 Ivi, c. 282v, 10 luglio 1735.
Al Consiglio di Monte Roberto poi non andava troppo bene che il medico reggesse anche la condotta di Castelbellino, la riconferma votata per altri due anni il 29 maggio 1740 è “à conditione ch’egli debba lasciare la condotta di Castelbellino ad effetto che tutti gli abitanti di questo paese restino maggiormente serviti e volendo quella ritenere, subito sia licenziato ed escluso da questa nostra condotta”. 53 ASCMR, Consigli (1735-1755), c.71r.
Da quasi un secolo le condotte di Monte Roberto e di Castelbellino erano unite ‘ad personam’, cioè lo stesso medico le aveva entrambe pur con le difficoltà e i divieti che qualche volta gli venivano imposti. Nel 1743 il Consiglio della Comunità di Monte Roberto decide di unire la condotta medica a quella di Castelbellino, la proposta era venuta dai “communisti” di Castelbellino, la nomina del medico sarà fatta con il consenso dei due Consigli e dovrà abitare sei mesi per parte. 54 Ivi, cc. 118 r/ve 119r, 23 maggio 1743. Verso la fine dell’anno si decide anche di assumere un chirurgo insieme a Castelbellino, la decisione è sottoposta all’approvazione della Congregazione del Buon Governo. 55 Ivi, cc.122v e 123r, 1° dicembre 1743.
Così allo stipendio di 60 scudi annui del dott. Antonio Cenni vengono tolti 10 scudi destinati al chirurgo Dionisio Capitelli “quale possi medicare ferite e cacciare sangue” 56 Ivi, c.136r, 27 dicembre 1744; c. 138r, 21 marzo 1745. Il Capitelli agli inizi del 1746 non viene riconfermato, le funzioni di chirurgo vengono espletate dal medico dott. Giovanni Francesco Dominici, in servizio dal 1745, al quale nella riconferma del 1747 gli viene richiesto “che per l’avvenire sia per servire con humiltà e non alterigia usata et altresì sia con piacevolezza et attenzione visitare e curare l’ammalati” […] e “che esso sia tenuto gratis curare, visitare ancora tutti gli forastieri ammalandosi o venendo ammalati, senza potere egli pretendere dalli enunciati forastieri minima mercede o regalo”[…], si proponeva inoltre che “la nostra comunità non gli dovesse più pagare il nolo di casa, bensì per farli cosa grata […] gli si potesse dare ad abitare la casa unitamente con la cantina di questo publico esistente entro il castello”. 57 Ivi, cc. 169v e 170r 20 agosto 1747.
L’unione della condotta con Castelbellino non aveva avuto seguito e ben presto i due comuni procedettero alla nomina di due medici diversi; nel settembre 1749 dovendosi nominare un medico in sostituzione del dott. Serafino Moscati, in consiglio si fece il nome del dott. Carlo Passalacqua, medico condotto di Castelbellino che da mesi era provvisorio a Monte Roberto, si precisò tuttavia che il medico eletto non avrebbe potuto fare il provvisorio altrove ma avrebbe dovuto pernottare in paese e che, se fosse stato eletto, il Passalacqua avrebbe dovuto rinunciare in tre giorni alla condotta di Castelbellino, cosa che non aveva intenzione di fare. Nella stessa seduta così si respinse poi la proposta di una nuova unione della condotta medica con Castelbellino e si elesse il dott. Benedetto Antonio Salvati, medico e chirurgo, originario di Rosara nei pressi di Ascoli. 58 Ivi, c. 196r, 7 settembre 1749.
Quando però il dott. Passalacqua rinunciò alla condotta di Castelbellino, si decise nel 1752 di riunire le due condotte nella persona del dott. Salvati alle condizioni già attuate in passato e cioè con l’obbligo di residenza di sei mesi per parte e con il consenso dei due Consigli per la nuova nomina nel caso che la condotta rimanesse vacante. 59 Ivi, c. 220r, 12 novembre 1752.
Dopo essersi accordati per la condotta comune del medico, Monte Roberto e Castelbellino decisero di nuovo nel 1781 di assumere un “professore chirurgo”, con lo stipendio annuo complessivo di 50 scudi, 25 per ogni paese 60 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 5r, 2 gennaio 1781. la nomina viene fatta dai due Consigli riuniti in seduta comune a Castelbellino il 29 aprile 1781: fu eletto il Sig. Pasquale Natalini con questi “capitoli”:
1. “Che sia obligato visitare, e curare tutti li malati di mali, e infermità, secondo porta la sua Professione Chirurgica, di ambedue li paesi suddetti, e loro respettive pertinenze.
2. Che nella Campagna delle pertinenze di Monte Ruberto di quà del Fossato, non possa pretendere, per andare a visitare e curare la cavalcatura: bensì quando convenga andarsi di là del detto Torrente Fossato. E così nelle pertinenze di Castelbellino, non possa pretendere la cavalcatura se non quando convenga andare più oltre, passato il Mattonato, conforme si costuma dal medico, cioè fino al Fossato, e Fiume.
3. Nei casi, che il Chirurgo venisse chiamato a far visite forastiere e convenisse pernottare fuori della condotta, debba chiedere licenza al Magistrato pro tempore di quel luogo, ove esso farà dimora.
4. Che detto Chirurgo debba dimorare per sei mesi dell’anno a Monte Roberto, ed altri sei mesi in Castelbellino come fa il Medico, che presentemente è condotto d’ambedue le Comunità cioè quando il Medico partendo si porta a Monte Roberto, allora il Chirurgo debba risiedere in Castelbellino, e quando il Medico torna ad abitare in Castelbellino, il Chirurgo debba portarsi ad abitare in Monte Roberto e così proseguirsi a vicenda”. 61 Ivi, c.13r 29 aprile 1781. La sede per la riunione dei due consigli era scelta a sorte.
Oltre a questi “capitoli” qualche anno dopo ne viene aggiunto un’altro: “Il Chirurgo non debba ingerirsi nelle cose e cure spettanti al professor Medico Condotto benché fusse ancora Dottore in Medicina e Laureato in tal scienza medica; e neppure di cavar sangue senza licenza del Medico Condotto, solo che ne casi estremi, non ci fusse tempo di consultarsi col Medico Condotto”. 62 Ivi, c. 67r, 8 maggio 1785.
Nella elezione del chirurgo sig. Luigi Cappanna si prescrive che “debba esercitare tanto la chirurgia bassa, che alta”, 63 Ivi, c. 84r, 27 agosto 1786. vale a dire non solo far salassi o cavar sangue ma anche interventi più complessi sulle ferite, nell’assistere le partorienti, nella ricomposizione delle fratture ecc.
Dopo più di 40 anni di servizio a Monte Roberto e a Castelbellino, il Dott. Benedetto Salvati nel 1791 viene “giubilato”, si ritira cioè diremmo oggi dal lavoro ed è collocato in pensione; nella riunione in seduta comune dei due Consigli chiamati a concordare il corrispettivo annuo da dare al Salvati per la sua “giubilazione”, il consigliere di Castelbellino Gabriele Meriggiani propone che per il nuovo medico “ognuna delle rispettive nostre comunità abbia il diritto di eleggere il Medico separatamente acciò ognuna delle respettive nostre comunità abbia la speranza di certezza di essere ben serviti, ed assistiti pienamente nelle circostanze e per mantenere quei diritti che sempre per l’addietro […] hanno avuto soggetti distinti”.
La proposta ebbe 30 voti favorevoli e 6 contrari.64 Ivi, cc. 138r/v e 139r, 26 settembre 1791; il dott. Benedetto Salvati muore il 28 dicembre 1800 all’età di 81 anni e viene sepolto in chiesa il 2 gennaio 1801. Con l’assenso della Sacra Consulta che “ha risolto che ognuna di queste Comunità venga separatamente dall’altra all’elezione del nuovo medico”, Monte Roberto elesse il dott. Luigi Gherardi per la propria condotta medica, 65 Ivi, c. 141r/v, 26 febbraio 1792. anche per lui il diritto alla cavalcatura e il dovere di chiedere il permesso al Magistrato pro tempore anche per una sola notte, sono identici a quelli del chirurgo.
Sciolto il contado con l’annessione al Regno d’Italia, nel 1809 sono in servizio nel territorio di Monte Roberto, Castelbellino e San Paolo aggregati in un’unica amministrazione due medici, rispettivamente uno per Monte Roberto e Castelbellino e l’altro a San Paolo.
Il chirurgo invece, trasferitosi a Serra de’ Conti, per ora non viene rimpiazzato, la gente si rivolge a Jesi, Massaccio e Staffolo con generale grave disagio, 66 ASCMR, Consigli (1809-1807), P. 3. sarà sostituito soltanto nel 1815. 67 Ivi, p. 50, 22 aprile 1815. La Delegazione Apostolica di Ancona il 13 dicembre 1819 rinnovò la prescrizione per un unico medico ed un unico chirurgo per Monte Roberto e Castelbellino. 68 ASCCM, Consigli (1824-1838), c. 26v.
Curiose ed interessanti sono le pagine dei verbali dei Consigli di Castelbellino che riportano le testimonianze dirette di alcuni casi della grave impreparazione dimostrata dal chirurgo dott. Giuseppe Mazzoni, curiose ma anche penose per le sofferenze indotte; molti di Monte Roberto e di Castelbellino ricorrevano al chirurgo di Maiolati, o di altri paesi e al Mazzoni il Consiglio Comunale di Castelbellino non lo riconfermò nell’incarico per un soffio, 9 voti a lui favorevoli, 10 contrari. 69 Ivi, cc. 3r-5r, 13 dicembre 1827.
Nell’elezione del medico anche le raccomandazioni avevano una loro importanza; il dott. Enrico Camerini fu eletto il 12 marzo 1830, 30 anni, nativo di Fano, stava prestando servizio a Saltara, si era laureato alla “Sapienza” di Roma ed aveva fatto tirocinio presso l’ospedale “S. Spirito”, la raccomandazione era stata fatta dal card. Francesco Cesarei Leoni vescovo di Jesi. 70 ASCMR, Consigli (1829-1839), p. 69, 12 marzo 1830.
Servì la popolazione dei due comuni per diversi decenni confermato di volta in volta; in una circostanza, nel 1843, la conferma avvenne nonostante “la sua condotta fosse meritevole di rimprovero e niente lodevole”, gli si volle dar modo tuttavia “di riconciliarsi con la sua assiduità avvenire, gli animi di tutta la popolazione” 71 ASCMR, Consigli (1843-1849), 17 dicembre 1843. Non ci volle molto al dott. Camerini per “riconciliarsi” con la gente, la riconferma successiva non creò alcuna difficoltà, anzi in occasione del colera che imperversò in paese nei mesi di agosto-settembre 1855 72 ASCMR, Consigli (1850-1859), pp. 278-282. si prodigò in maniera encomiabile ricevendo per il suo “lavoro in più” 20 scudi dal comune. 73 Ivi, p. 308, 10 gennaio 1856.
I rimedi per le varie malattie si acquistavano, quando non si facevano da soli, su indicazione del medico, dallo speziale; a Monte Roberto nei primi decenni del Settecento fu “lo speziale della Serra” a chiedere di “aprire una spezieria”: il Comune “gli dà a nolo la cantina sotto le logge”. 74 ASCMR, Consigli (1711-1735), c. 267r, 5 gennaio 1734.
Nel 1792 era speziale Agostino Antonelli che nella sua qualità di Consigliere Comunale per l’elezione del medico si credette opportuno farlo astenere dalla votazione, in considerazione della sua professione nonostante che negli anni precedenti avesse partecipato all’elezione sia per il chirurgo che per il medico. 75 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 141r, 26 febbraio 1792.
La delibera per la prima farmacia fu adottata dal Consiglio Comunale di Monte Roberto il 13 gennaio 1880; fu aperta il 1 luglio nello stesso anno da Giovanni Battista Zuccarini. 76 ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1877-1884), 13 gennaio 1880. Bonetti Costantino la teneva aperta nel 1882; nel 1884 il farmacista non viene nominato per Monte Roberto nella Lista Generale degli elettori commerciali della Provincia di Ancona per il biennio 1885-’86, edita dalla Camera di Commercio ed Arti di Ancona. -
235 8.6 La scuola pubblica
Le carte residue dell’archivio comunale ci danno il primo nome di un maestro stipendiato dal comune solo ai primi del Seicento, Messer Dionisio Bini: è nominato il 12 maggio 1609, 50 fiorini (25 scudi) all’anno da pagarsi “quattreria per quattreria”, cioè ogni due mesi, il tempo che “I Quattro” dirigevano la pubblica amministrazione. 77 ASCMR, Trasatti (1566-1614), c. 345v. Dal 1610 il Bini redige anche i verbali del Consiglio della Comunità di Monte Roberto: 78 ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 59v. e ss.
Gli statuti jesini del sec. XV stabilivano che venisse eletto “un maestro di grammatica”, “qui doceat scholares, cives et comitativos sine aliquo salario ab us percipiendo” (che insegni a studenti della città e del contado senza pretendere da loro alcun compenso). 79 Statuta sive sanctiones…, liber primus, rub. XXXIII, c. 14r.
Le famiglie nobili avevano precettori in casa, le famiglie meno abbienti usufruivano di questo servizio unico per tutto il contado che certamente non poteva arrivare a tutti i castelli, a meno che gli studenti non si trasferissero in città. Nel corso del Cinquecento i castelli con popolazione più numerosa e con un’economia più florida incominciarono ad istituire una scuola per proprio conto affrontando sul proprio bilancio la spesa relativa. 80 Urieli C., Il Liceo-Ginnasio difesi la vita culturale jesina, Jesi 1985, pp. 35-37.
A Massaccio, ad esempio, il primo maestro pubblico fu eletto il 17 marzo 1517, Pietrangelo Scalone de Lyostune, 81 ASCC, Istrumenti e trasatti, 1(1505-1524), c. 121v. era stato il Vice Legato della Marca che nel 1515 aveva ingiunto ai Massari di Massaccio la nomina del “pubblico maestro di scuola”. 82 Menicucci F., Memorie istoriche di… Massaccio, p. 28.
A Monte Roberto alla nomina ci si arrivò dopo quasi un secolo se Messer Dionisio Bini è maestro nel primo e secondo decennio del Seicento, un altro Bini, don Orinzio, è maestro alla metà del secolo, maestro ed anche per qualche anno (1639) segretario (“cancellarius”) comunale. 83 ASCMR, Consigli (1639-1651). La scuola in questi anni è contigua al Palazzo Comunale; nei giorni di festa la stanza viene abusivamente usata per giocare, protestano i vicini e il comune proibisce di entrarvi “parendo ancora indecenza che la scuola debba servire per gioco facendovi in quella strepito e rumore con scandalo di molti”, per quanti trasgrediscono la pena è di un testone. 84 Ivi c. 31r/v, 11 novembre 1641. Il testone è una moneta di argento dal peso di g. 18.
Di norma il maestro, che è un sacerdote, era anche cappellano della chiesa di S. Maria della Pietà, nominato in questo incarico dal Consiglio della Comunità, a volte per breve tempo i due incarichi sono stati separati, quando ad esempio il maestro non era prete (laico o solo chierico), o affidati a due sacerdoti diversi. Obbligo del cappellano, che riceveva dal Comune per questo un compenso annuo, era di celebrare messa nella chiesa, non facendolo era multato di due paoli ogni volta.
Don Rinaldo Allegrini, di Fossombrone, maestro per poco più di un anno, 1722-23, è tenuto anche a “insegniar di canto figurato alla gioventù et altri di questo castello”. 85 ASCMR, Consigli (1711-1735), c.163v, 2 febbraio 1722. Il canto figurato è un canto liturgico ricco di figurazioni melodiche e ritmiche, si contrappone al canto fermo cioè al canto fermo o gregoriano. Se il maestro doveva assentarsi per un giorno doveva chiedere il permesso ai “Signori Quattro”, se l’assenza si prolungava per più di un giorno era obbligato a lasciare un sostituto.
Don Guido Antonio Baldelli, di Monte Roberto, al suo primo incarico da maestro nel 1713 non è ancora sacerdote, è solo giovane chierico ed esercita il suo officio con ogni puntualità, 86 Ivi, c. 45v, 6 agosto 1713; c. 71v, 10 ottobre 1724. dieci anni dopo – al secondo incarico dopo un anno dell’Allegrini – gli viene imposto che “tanto la scuola della mattina quanto della sera non debba terminarla non prima che due hore”. 87 Ivi, c. 190v, 9 gennaio 1724.
L’insegnamento di don Baldelli viene trovato carente dal vescovo di Jesi, mons. Antonio Fonseca, in visita pastorale a Monte Roberto, il 13 settembre 1726: gli alunni sono poco istruiti in grammatica, 88 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite Pastorali, p. 132. nel 1729 don Baldelli non ha più la riconferma e la scuola è affidata al parroco don Pier Francesco Sebastianelli. 89 ASCMR, Consigli (1711-1735), c. 226r. 1 maggio 1729.
Don Attilio Vaselli di Maiolati è “negligente nell’esercitare il di lui officio, è molto propenso alli cicaleggi et negligenze che si fanno da scolari nel tempo di scuola, [… è] astretto di dare e rivedere i Latini a tutte le classi quattro volte la settimana e fare le necessarie esplicitazioni a guisa di zelanti maestri, non deve permettere i suddetti cicaleggi”, altrimenti sarà “subito escluso e rimosso dalla sua carica senza speranza”. 90 Ivi, c. 27r/v, 9 novembre 1737. Non confermato dal Consiglio della Comunità, il Luogotenen te del Governatore ordina al maestro di insegnare ancora per un anno, il Vaselli lo conclude, ma il 4 novembre 1738 se ne va “per i suoi vantaggi” rinunciando all’incarico. 91 Ivi, c. 39r.
Miglior maestro fu indubbiamente don Alessandro Taglianoni di Belvedere, “ha ottimi requisiti e di scienza che di candidissimi costumi, come pure di buona comunicativa nell’insegnare”. 92 Ivi, c. 139r, 15 aprile 1745. “Da tutti sono conosciuti il profitto che sotto la sua disciplina fanno i nostri giovani, […] i buoni costumi, l’idoneità e la bontà di vita”. 93 Ivi, cc. 190r/v, e 151r.
Con la nomina di don Francesco Chiodi di Castelbellino, che rinuncia dopo appena 14 giorni, vengono dal Consiglio precisati “i giorni di vacanza assegnati alla Pubblica Scuola di Monte Roberto”; “oltre le feste solenni e di precetto” lo sono le feste di S. Antonio Abate (17 gennaio), S. Biagio (3 febbraio), S. Agata (5 febbraio), S. Apollonia (9 febbraio), S. Francesco di Paola (2 aprile), S. Marco (25 aprile), S. Atanasio (2 maggio), S. Floriano (4 maggio), S. Pasquale Baylon (17 maggio), S. Antonio di Padova (13 giugno), la festa della Visitazione di Maria Vergine (2 luglio), di S. Francesco d’Assisi (4 ottobre), S. Nicola da Tolentino (10 settembre), la festa della Esaltazione della S. Croce (14 settembre), la Commemorazione dei Morti (2 novembre), S. Martino vescovo (11 novembre), la festa della Presentazione al Tempio di Maria Vergine (21 novembre), S. Nicolò (6 novembre), S. Lucia (13 dicembre). Erano giorni di vacanza inoltre i giorni delle due fiere, gli otto giorni di carnevale, i giorni dal mercoledì santo al mercoledì successivo escluso, la vigilia di Natale fino al giorno 2 gennaio escluso. 94 ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 160r, 2 ottobre 1746.
Nei confronti di don Agostino Valchera, di Maiolati, al momento della conferma viene detto: “Uomo d’ogni merito e si stima per le sue qualità e dottrina, presta assidua assistenza alli giovinetti di questo luogo che vanno a scuola e s’approfittano nelle lettere e Santo timor di Dio, […], tutto il paese se lasciasse sarebbe dispiaciuto”. 95 Ivi, c. 236r 4 agosto 1754.
Don Saverio Zoppini, da Monte S. Vito, insegnò per tre anni, 1764-1767, proveniva da Castelbellino, preferì Monte Roberto perché gli veniva corrisposto uno stipendio più alto (40 scudi, più 19 scudi per la cappellania di S. Maria della Pietà o Chiesa Nuova), era conosciuto per la “sua abilità in insegnare alla gioventù che va alla di esso scuola”. 96 ASCMR, Consigli (1756-1766), c. 272r.
Tenne invece cattedra per 20 anni don Francesco Amatori di Monte Roberto, dal 1767 al 1788, aveva studiato presso il Liceo Leoniano a Massaccio sotto la guida dei Monaci Camaldolesi di S. Lorenzo; 97 cfr. De Philosophia Dogmatica, et scepticismo, de moderata Philosophandi libertate deque criterio veritatis, et probabilitatis, theses ex Prolegomenis Philosophiae excerptae, quas Franciscus-Antonius Amatori e Castro Montis Ruberti, et Johannes Menicucci massatientis In Leoniano Lycaeo Massatii apud Camaldulenses Monachos Philosophiae Auditores pubblico exponunt certamini, Jesi, Tip. Eredi Caprari 1761, pp. XII, in Miscellanea di stampe e manoscritti, Archivio Parrocchiale S. Leonardo, Cupramontana, Fondo Menicucci n. 10. in questi anni tutto il mese di ottobre era vacanza come pure era vacanza il sabato sera. 98 ASCMR, Consigli (1766-1780), c. 184, r.
Riconfermato il 19 febbraio 1786 don Amatori nell’insegnamento, il Consiglio approva un “espresso capitolo: che la scuola debba durare due ore nella mattina e due altre ore nella sera; e che si debbano riformare li capitoli in quanto alli giorni di vacanza e formarsi nuova tabella per le dette vacanze parendo esserci troppo perdimento di tempo per la gioventù e altresì che il Maestro nell’uscire di scuola la mattina guidi li scolari alla chiesa per far loro udire la S. Messa, come è stile e debba osservarsi quanto sarà definito nella tabella tanto per istruirsi la gioventù nella Pietà che nella scienza delle lettere umane”. 99 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 75r. Il 14 ottobre 1788 Don Amatori rinuncia all’incarico di maestro per infermità. 100 Ivi, c. 100r.
Quando incominciò ad insegnare, nel 1797 Domenico Bucci di Monte Roberto 101 ASCMR, Consigli (1794-1808), c. 33v, 6 giugno 1797. aveva 22 anni; aveva iniziato la carriera ecclesiastica e lo chiamavano ‘abate’, ma non arrivò alla consacrazione sacerdotale; insegnò fino al 1817, dal 1816 è segretario comunale; di lui il sindaco Salvati nel 1809 scrive: “Il Signor Domenico Bucci […] è persona proba, sufficientemente capace ed esercita il suo officio con quella attenzione che si deve a pro dei discepoli, dei quali non omette anche la vigilanza per la loro buona educazione”. 102 ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), p. 248, n. 304, 20 ottobre 1809, lettera al Vice-Prefetto distrettuale di Jesi.
Passata la “ventata giacobina” e ritornato il governo pontificio è eletto don Giambattista Corradini di Maiolati, di nuovo vengono fissati i doveri del maestro: “Insegnare l’ abecedario fino a tutta la retorica; insegnare le cognizioni di aritmetica; insegnare la Dottrina Cristiana e altro relativamente al buon costume”, il maestro poi doveva far recitare nella festa di S. Nicolò (6 novembre), al più idoneo fra i suoi scolari la consueta orazione panegirica, 103 ASCMR, Consigli (1809-1827), p. 93, 8 marzo 1817. dopo la scuola – alla sera – era prevista la visita al SS. Sacramento nella chiesa parrocchiale.
Con la riforma degli studi fatta da papa Leone XII con la costituzione “Quod Divina Sapientia” del 28 agosto 1824, le cattedre di insegnamento si conferiscono con il concorso pubblico e relativi esami. Antonio Cotini di Staffolo si aggiudica il concorso per la cattedra di maestro pubblico di Monte Roberto espletato il 28 agosto 1834; un mese dopo, il 29 settembre, confermandogli l’incarico il Consiglio prescrive: “L’assegno annuo per detta cattedra è di scudi 64 oltre una sufficiente casa di abitazione, col peso di insegnare a leggere e scrivere, l’aritmetica, la grammatica italiana e latina e la Dottrina Cristiana oltre l’accompagno in chiesa dei giovani studenti la mattina [per ascoltar la messa] e sera [per adorare il SS. Sacramento] dopo la scuola”. 104 ASCMR, Consigli (1829-1839), pp. 188-189, 29 settembre 1834. Lo stipendio del maestro nel 1837 viene portato, su desiderio del card. Pietro Ostini vescovo di Jesi, a 80 scudi annui. 105 Ivi, 6 ottobre 1837.
Dopo i mesi turbolenti della Repubblica Romana tutti gli addetti alla pubblica istruzione dovevano essere sottoposti a stretto controllo (censura); il relativo Consiglio di censura istituito dal vescovo non eccepì nulla verso il maestro di Monte Roberto, don Gaetano Onofri di Morro d’Alba, titolare della cattedra dal 1838 che dava “prove non dubbie dell’ottimo metodo che egli usa nell’insegnamento e della premura che adopera per la buona educazione della gioventù”. 106 ASCMR, Consigli (1843-1849), pp. 50-51, 13 dicembre 1849. Don Onofri fu l’ultimo maestro di Monte Roberto sotto lo stato Pontificio, con unanime riconoscimento aveva sempre esercitato “con somma lode e premura e vantaggio della studiosa gioventù”.
Nei primi anni dopo l’unità d’Italia l’istruzione elementare ebbe un forte impulso, alle scuole maschili e femminili del paese si aggiunsero le scuole maschili a Pianello e in contrada Calapina nel 1863, scuole femminili nelle stesse contrade nel 1867; nel 1874 si progettò una Scuola Consorziale Elementare con Cupramontana da istituirsi in contrada Torre.
Dal novembre 1866 al maggio 1867 si tenne aperta una “Scuola Domenicale per le adulte”, vi parteciparono circa 40 alunne ed era tenuta dalla maestra della scuola femminile: l’iniziativa faceva parte di un vasto programma di alfabetizzazione per gli adulti, come le scuole serali e domenicali tenute nel 1867 dai maestri Teofilo Poli e Giovanni Moretti. 107 ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1866-1876), p. 51, 31 gennaio 1867; p. 86, 28 maggio 1866; p. 130, 18 novembre 1867; p. 177, 21 giugno 1874.
L’esodo dalle campagne verificatosi progressivamente nei decenni del Novecento portò alla chiusura delle scuole rurali facendole concentrare in paese e a Pianello consorziandosi con Castelbellino. Il successivo ridursi della popolazione anche nel paese, dopo la formazione di pluriclassi, portò alla definitiva chiusura della scuola elementare nel centro storico di Monte Roberto nel settembre 1993. -
242 8.6A LA SCUOLA PER LE FANCIULLE
Il Consiglio Comunale nella seduta del 22 settembre 1856 prendeva in esame la proposta di istituire in paese una Scuola per le Fanciulle.
Nella relazione introduttiva se ne evidenziarono le motivazioni: “L’istruzione delle Fanciulle nel lavoro, e la buona educazione Morale, e Religiosa sono cosa di si grave momento, che non possono sfuggire alla sollecitudine di chi trovasi a reggere la cosa pubblica, specialmente ai giorni nostri, in cui, chiunque abbia senno, scorge di leggieri la necessità di porre un’argine alla propagazione di certe massime, e di certe utopie, che generalizzate potrebbero condurre a terribili conseguenze. La donna è la base della Famiglia, è quella, che col nutrimento del proprio seno porge ai figli le prime idee, le prime impressioni, le quali più non si dimenticano in tutto il corso della vita, è quella infine, che colla forza degli affetti dirige le azioni dell’uomo, che le è destinato in compagno. Se vuolsi migliorare la società, e rendere meno infelice dell’attuale la futura generazione, fa d’uopo applicare il rimedio alla radice, e migliorare la donna, infondendo nel di lei cuore fin dall’età, più tenera i principi della Religione, e di sana morale, non che l’amore per il lavoro, e per le domestiche occupazioni. Egli è perciò, che la Magistratura, fatte serie riflessioni sulle circostanze locali, ed intorno al modo, con cui al presente si allevano le Fanciulle quasi del tutto abbandonate a se stesse fin da molto tempo avvisava al bisogno di aprire una Scuola gratuita per le Fanciulle medesime, bisogno, che veniva riconosciuto imponente dall’Em.mo Sig. Cardinal Morichini nostro vigilantissimo vescovo, allorché nell’anno scorso si recava qui per la S. Visita Pastorale”.
La discussione fu ampia soprattutto si evidenziarono la difficoltà di ordine economico per l’istituzione della scuola. Messa ai voti la proposta, avendo avuto 5 voti favorevoli e 5 contrari fu rimandata ad altra seduta:108 ASCMR, Consigli (1850-1859), pp. 342-343.
L’argomento fu ripreso il 23 marzo 1857: “La Scuola per le Fanciulle, incalzò con passione il relatore Ridolfo Capitelli, che si propone di istituire nel Comune, mi sembra utile non solo, ma eziandio necessaria. Ai nostri tempi in cui l’irreligione, l’immoralità e l’insubordinazione fanno dovunque progressi spaventevoli e d’uopo riparare al turbine, che minaccia la Società, con l’affiancare la buona educazione della Gioventù. E per conseguire tale scopo qual altro mezzo può esservi più acconcio fuor di quello di promuovere un istruzione veramente cristiana alle Fanciulle le quali un giorno dovranno divenire madri di famiglia e dare indirizzo alla generazione futura? È nostro obbligo preciso, o Signori, di curare sopra ogn’altro vantaggio materiale il miglioramento morale della popolazione che reggiamo. Ottenuto questo, ne deriveranno, come legittime conseguenze, l’operosità, l’industria, e l’agiatezza, il rispetto dell’Autorità, l’amore scambievole, e la pace. Chi sia dunque, che voglia opporsi ad un’istituzione, che è per riuscire ad un fine sì nobile e desiderato? Ad un’istituzione che si va attuando anche in Paesi più piccoli del nostro? Ad un’istituzione infine, che tanto interessa al cuor paterno del sapiente E.mo Nostro Pastore Diocesano, e che ora caldamente è stata da Lui di nuovo raccomandata? Io credo non possa esservi alcuno; mentre mi è noto abbastanza quanto i miei Colleghi curino il vero benessere degli Amministrati, e quanto siano alieni da sentimenti di egoismo, e da ragioni di vile interesse. Perciò voglio sperare, che tutti concordemente approveranno l’istituzione progettata di una Scuola per le Fanciulle da avere effetto nel 1858”. Questa volta la proposta fu votata all’unanimità.109 Ivi, pp. 373-375.
La scuola cominciò nel gennaio 1858, maestra designata ed incaricata dal vescovo fu Teodolinda Magnanelli di Jesi che continuerà per molti anni ancora ad insegnare a Monte Roberto; per la scuola e per l’abitazione dell’insegnante furono destinati alcuni locali di proprietà comunale in via S. Carlo (attuale via G. Marconi).110 Ivi, pp. 351-352, 14 dicembre 1857. -
243 8.6B BIBLIOTECA CIRCOLANTE
Il provvedimento per una “Biblioteca circolante per l’istruzione e per l’educazione dei popolo”, fu presa l’11 ottobre 1866. Era stata sollecitata dal Regio Ispettore della Scuola Primaria della Provincia che ne raccomandava l’istituzione ai Comuni. La biblioteca, sosteneva la Giunta nell’invitare il Consiglio a votare il progetto, sarebbe stata “diretta a rendere permanente il frutto delle cognizioni diffuse dall’istruzione elementare, ed a sottrarre le masse dall’influenza di libri cattivi e perniciosi”.111 ASCMR, Consigli (1866-1876), pp. 9-10.
Il regolamento per la Biblioteca Circolante fu approvato il 9 novembre 1866.112 Ivi, . 37. Quale fosse stata la dotazione libraria della biblioteca e quale la sua durata negli anni, sono dati che ci sfuggono, sappiamo comunque che la Giunta Comunale quasi novant’anni dopo, nel 1951, decide di istituire una Biblioteca Popolare Comunale113 ASCMR, Deliberazioni di Giunta (1950-1954), p. 88, n. 7 del 30 luglio 1951. che ha avuto continuazione nella biblioteca del Centro Polivalente di Pianello Vallesina. 108 -
244 8.6C L’ASILO INFANTILE
Fu per iniziativa del Centro Italiano Femminile (C. I. F.) di Monte Roberto, presieduto dall’ins. Francesca Zonghi-Lotti Gabbianelli, e della Parrocchia, se nel gennaio 1958 si aprì l’asilo infantile. I locali, realizzati con i contributi del Ministero del Lavoro furono messi a disposizione dalla Parrocchia. L’asilo rimase privato finché lo Stato nella seconda metà degli anni Settanta non se ne assunse direttamente la gestione. Successivamente si realizzarono nuovi locali donati da Rina Barocci David, cui l’asilo venne intitolato, ed inaugurati nel 1986. Il calo demografico è stata la causa della chiusura dell’asilo avvenuta nel settembre 1993.
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244 8.7 RIGORE E CARITA’
Nelle comunità dei nostri paesi e castelli si riproponevano in passato, come del resto è sempre avvenuto anche se in scala ridotta, problemi ed episodi di “pubblica moralità” che in agglomerati più grandi in un certo senso erano fenomeni di costume non giustificato ma accettato.
Gli statuti jesini prevedevano che donne “vituperosae et inhonestae” (riprovevoli e senza onore) non avessero ad abitare nelle vicinanze di altre donne di buona reputazione e che dovessero quindi essere allontanate .114 Statuta sive Sanctiones…, liber tertius, rub. XXVI, c. 52v.
Qualche caso analogo si verificò anche a Monte Roberto nel corso del Seicento. Il 4 settembre 1611 il consiglio della Comunità discute “se pare di levare et scacciare da questo castello di Monte Roberto e distretto, per evitare molti incommodi, fastidij, et inconvenienti a questo popolo, à Donna Giustina figlia di Venarino et à Donna Madalena di Travaglino, per le quali, per la loro cattiva vita che tengono, sono continuamente vessati e travagliati, così in giuditio come fama, et huomini e donne da bene et honorate di questo luogo et si vede tuttavia siano per cagionare molti inconvenienti”.
Con 19 voti favorevoli e 2 contrari si decide che “li ss.ri Quattro assieme con due deputati da eleggersi da loro habbiano facoltà di andare avanti alli Ill.mo et Vescovo e Governatore di Jesi o ad altri nostri Sig. Superiori et domandare, et impetrare gratia, che le soprannominate donne stante la mala qualità loro, et cattivo, et infame procedere […] non habbiano né domicilio né habitatione alcuna nel presente luogo né nel suo distretto et territorio, et habbiano sopra ciò autorità di scrivere a Roma, o dove bisognerà per ottenere simil gratia, quando bisognasse”.115ASCMR, Consigli (1608-1616), cc. 70v. e 71r. Le due donne vengono scacciate; qualche mese dopo l’8 dicembre il Consiglio discute la supplica di Donna Mattia madre di Giustina affinché venga tolto l’esilio a sua figlia e richiamata in paese. L’esilio era stato comminato dal Vescovo, era quindi autorità del Vescovo toglierlo, bastava che
“I Quattro” si rivolgessero a lui “tanto più che la mente di detta Donna Giustina sia di ritornare a bona e santa vita”. Solo 6 consiglieri furono favorevoli alla richiesta da fare al vescovo, 14 contrari.116 Ivi, c. 73r.
Quasi sessant’anni dopo il 14 settembre 1670 al Consiglio si propone “che par di fare atteso che Donna Elisabetta di Francesco Cetolone del nostro paese già meretrice non attende ad altro che rubare uve, fichi et altri frutti nell’Arborate che non ci lassano niente con pericolo grande che un giorno sia la rovina di qualche poveromo et anco per lo scandalo che da nel mal fare”. All’unanimità e senza votare (“viva voce”) si decide “che li Signori Quattro vadino a rappresentare a Mons. Vicario Generale di Jesi il gran danno che fa e scandalo che dà detta Donna con pregarlo che vogli restar servito di levarcela di quà”.117 ASCMR, Consigli (1665-1676), c. 81r/v.
Dopo due anni Donna Elisabetta è incolpata degli stessi reati e di nuovo si ricorre ai Vescovo di Jesi.118 Ivi, c. 106r, 8 settembre 1662.
In una società “sacrale”, cristiana, alle nascite illegittime se pure erano uno “scandalo” si cercava di venire incontro con la pubblica assistenza.119 Urieli C., Jesi e suo Contado, vol. IV, pp. 393-399. Palombarini Augusta, Sedotte e abbandonate -“Madre illegittime” ed esposti nelle Marche di età moderna, Ancona 1993. Palombarini Augusta, I “mamoli buctati”; l’assistenza agli esposti nelle Marche di età moderna, in Studi Maceratesi, 27, 1991, pp. 57-83.{end-tooltip} I figli illegittimi spesso erano abbandonati, “esposti”, davanti alle chiese, alle porte dei conventi, del palazzo comunale, o anche davanti alle “figurette” o a case private.
A Monte Roberto ai primi di aprile 1771, fu trovata una bambina “spuria” nella cappellina-edicola della Madonna in contrada la Figura,120 ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), c. 269v, 2 aprile 1771. non fu la prima né l’ultima. Nei registri dei battesimi della parrocchia e non solo di Monte Roberto, non è raro il caso di incontrare atti di battesimo di bambini “spuri”, senza cognome, senza l’indicazione dei genitori, con il nome della levatrice-madrina che li aveva presentati al sacerdote quando sono figli di ragazze-madri o di vedove-madri o con il nome di coloro che li avevano trovati e che per loro desiderano il battesimo sotto condizione, nel caso cioè che non lo avessero avuto.
Il sindaco Filippo Salvati nel 1808-1809 segnala al Podestà di Jesi alcuni casi accaduti nel territorio di sua competenza in San Paolo e Castelbellino. Una bambina era stata portata nella sede comunale di San Paolo da una donna vedova da diversi anni che asseriva averla trovata di notte sulla porta della sua casa, salvo poi a confessare allo stesso sindaco, qualche giorno dopo, la sua maternità. 121 ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), p. 6, n. 15 cieli’ l l giugno 1808 e pp. 7/8, n. 18 del 14 giugno 1808. Un’altra bambina viene trovata abbandonata sulla porta di un’altra casa sempre in San Paolo, per la quale però una donna già madre si offre come balia 122 Ivi, p 136, n. 41, 3 febbraio 1809. Una famiglia invece di Castelbellino è disposta a nutrire ed allevare un bambino nato da una vedova e da padre incerto.123 Ivi, p. 78, n. 206, 7 ottobre 1808.
Sono manifestazioni di povertà materiale e morale ma anche, e non solo, di solidarietà tra poveri. Ampia era la fascia di povertà tra la gente, alcuni dei più poveri erano costretti all’accattonaggio. Verso tutti, sia i privati che le pubbliche autorità provavano attraverso l’elemosina a lenire qualche sofferenza anche se non riuscivano a risolvere le situazioni di indigenza più grandi forse delle loro reali possibilità. I poveri del luogo sono conosciuti: ad essi si dà il grano per seminare, se ne distribuisce in occasione di grandi solennità, si permette loro di raccoglier le spighe, si prevedono facilitazioni nell’acquisto di generi alimentari ecc.
Altri poveri chiedevano l’elemosina sulla porta delle chiese, altri ancora arrivavano presso la sede comunale, tra questi ce n’era una categoria speciale erano luterani, calvinisti, ebrei convertiti al cristianesimo che andavano di paese in paese elemosinando qualche volta con una lettera di presentazione del Vescovo e del Governatore.
I registri di contabilità ci hanno lasciato i loro nomi, tra loro ci sono nobili decaduti ed ex-ufficiali austriaci, non pochi si presentano in Comune con una certa regolarità: Antonio Scandiorac di Berna, calvinista, ‘è a Monte Roberto il 6 aprile, il 4 ottobre 1785 e l’11 febbraio 1786; l’ebreo di Senigallia Giovanni Strozzi il 17 ottobre 1783 e il 28 maggio 1785; Giuseppe Giannini e sua moglie Maddalena Makasan, ebrei, il 19 settembre 1786 e il 15 luglio 1787. Ci sono ebrei di Roma, Ferrara, Ancona, luterani provenienti dalla Normandia e dall’Alzazia, calvinisti della Svizzera, c’è un certo Conte d’Aleppo (25 luglio 1783) spogliato dai Turchi cui vengono dati 2 scudi; ci sono tre spagnoli, “già schiavi-riscattati de’ Corsari Barbari” che chiedono l’elemosina per fare il viaggio di ritorno a casa.
Stranieri per lo più, ma ormai fratelli nella fede cristiana che asserivano di aver abbracciato, come quel “turco fatto cristiano”, cui fu fatta l’elemosina di 30 baiocchi nel 1610.124 ASCMR, Entrate e uscite (1609-1620), c. 55r. Non poche erano le richieste di coloro che dicevano di “essersi convertiti dall’eresia”; l’elemosine erano state dal 1765 al 1789 – in cui non c’erano stati mesi a Monte Roberto senza questuanti -, da 2 scudi a 10 baiocchi con una media di 20/30 baiocchi per ciascuno.
In considerazione di questo fatto il Consiglio della Comunità il 9 agosto 1789 decide di non dare più di 10 baiocchi; “se i Signori Residenti si arbitreranno da dargli maggior somma, in tal caso il di più di baj. 10 s’intenda dato del proprio e mai a conto della borsa di questa Comunità”.125 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 110r, 9 agosto 1789.
Ci furono anche avvenimenti particolari, come la persecuzionedei marrani ad Ancona, che davano luogo a pronunciamenti papali. Tuttavia, nonostante ciò, la Santa Sede continuava a elargire al gruppo levantino di Ancona un trattamento particolare e più favorevole in confronto a quello della comunità di Roma, soprattutto in campo economico.