“Le strade di questa città, Borghi e Castelli di questa nostra Giurisdizione […] si rendon impraticabili per l’immondizie che in esse si gettano”. Era la prima costatazione, per la quale si sentivano ogni giorno lamentele, che faceva il Governatore mons. Giacomo Fantucci nel suo editto del 15 giugno 1673, elencando poi altri episodi di una situazione igienica pubblica non certo encomiabile.
Terra, letame e paglia venivano ammassati presso le mura della città e dei castelli, escrementi o altre immondizie erano gettati dalle finestre sulle strade imbrattandole; anche chi allevava bachi da seta in paese gettava sulla pubblica via le relative lettiere con la foglia dei gelsi avanzata, le erbacce sulle mura potevano nascondere “serpi e altri animali velenosi”. Per tutte le immondizie gettate in strada si davano quattro giorni di tempo per toglierle “sotto pena di tre scudi per ciascheduno che non le levarà” […] e di altre pene à nostro arbitrio etiam corporali”; per le erbacce sulle mura c’erano cinque giorni di tempo “sotto pena alli contraventori d’un scudo per ciascheduno”. 1 A. Nocchi, R. Ceccarelli. Editti e Bandi del sec. XVII, cit., pp. 38-39.
L’editto riguardava tutto il contado e pensiamo che anche Monte Roberto non fosse esente da queste consuetudini, si deve tuttavia rilevare che esso non avesse tanta efficacia nonostante le pene previste: bandi come questi erano periodici, evidentemente non venivano osservati o non venivano fatti osservare.
Prescrizioni per l’igiene delle strade erano state fatte molti anni prima negli Statuti della città e contado, 2 Statuta sive Sanctiones et Ordinamenta Aesinae Civitatis, cit., liber quartus, rub. XXIIII, c. 80r. governatori e magistrature locali non si stancavano di intervenire senza però essere ascoltati e forse anche senza tanta convinzione nonostante le espressioni formali. Il paese del resto per secoli, come tutti gli altri, non ebbe una rete fognante e un servizio di nettezza urbana come oggi; le strade, gli angoli delle case, i crocicchi erano ricettacoli di ogni immondizia con il conseguente pericolo, spesso purtroppo realtà, di pestilenze e infezioni.
Strade così, all’interno del castello, erano luoghi preferiti dai maiali che venivano lasciati liberi di vagare per ogni dove alla ricerca di cibo con scorrerie anche nel vicino cimitero nei pressi della chiesa, con tutti i disagi che si possono immaginare. Il problema era antico, tanto che gli stessi statuti avevano previsto di tenere lontano i maiali dalle piazze e dalle strade delle città e dei castelli, 3 Ivi, liber quartus, rub. XXIII, De porcis tenendis & quomodo, c. 80r. la normativa tuttavia fu disattesa anch’essa per secoli.
Nel 1610 il Consiglio della Comunità di Monte Roberto fu chiamato a discutere su “che pare di fare per rimediare alli porci et altri animali che vanno per le strade comuni dove fa cativo odore a tutti”, e decise che i Quattro debbono far pubblicare un bando […] che nessuno possa tenere et lasciare andare per le piazze dentro il Castello porci di nessuna sorte né piccoli né grandi sotto pena di mezzo scudo per ciascuno e ciascuna volta”. 4 ASCMR, Consigli (1608-1616), c. 68r/v, 23 maggio 1610.
La proibizione, come al solito, non ebbe molto ascolto, se qualche anno dopo, nel 1615 alcuni maiali di proprietà di abitanti all’interno del castello entrati nuova chiesa di S. Carlo, imbrattarono e stracciarono le tovaglie ed i paramenti dell’altare. 5 Ivi, c. 145r, 15 febbraio 1615.
Il problema non era solo di Monte Roberto, altri paesi e la stessa Jesi dovevano affrontare situazioni analoghe senza tuttavia conseguire grossi risultati, almeno stando ai bandi e agli editti dei governatori che si sono ripetuti ininterrottamente per tutto il Seicento.
In Massaccio, ad esempio, si susseguirono non solo gli editti che riguardavano tutto il contado, ma governatori, priori e segretari ne fecero di specifici richiamando la normativa vigente senza mai però risolvere il problema che perdurò anche dopo l’unità d’Italia; il Regolamento di Polizia Urbana del 1863 infatti all’art. 14 recitava: “È proibito far e pascolare maiali nell’interno di Cupramontana e nei luoghi pubblici”. 6 A. Nocchi, R. Ceccarelli, Editti e Bandi del sec. XVIII, cit., p. 41. Ceccarelli Riccardo, Come uno di casa. Il suino nelle Marche, Ancona 2009. 4a edizione.
Identici episodi come a Monte Roberto si erano verificati con maiali che entravano nelle chiese sia nel 1659 come nel 1765, 7 Ivi, p. 30. uno di questi addirittura fece cadere a terra un sacerdote che in processione, come allora si usava, portava l’Eucaristia ad un infermo. 8 ASCC, Consigli IX (1653-1663), c. 106v, 11 maggio 1659.
Somma precauzione delle autorità era poi quella di tener pulite le fonti. Erano queste essenziali per la vita della comunità: vi si attingeva acqua per uso alimentare e domestico, nei pressi si lavavano i panni ed ogni sorta di mercanzia, c’erano abbeveratoi per gli animali ecc. Gli statuti già nel Quattro-Cinquecento avevano prescritto che presso le pubbliche fontane della città e del contado non si lasciasse alcuna immondizia tutelandone cosi la pulizia e proibendo l’utilizzo dell’acqua nelle immediate vicinanze in lavaggi particolarmente inquinanti. 9 Statuta sive sanctiones et ordinamenta Aesinae Civitatis, liber quartus, rub. XXVIII, c. 80.
Nonostante queste prescrizioni e divieti anche per le fontane gli editti e i bandi dei governatori si ripetevano periodicamente. Erano le acque degli abbeveratoi che spesso “si rendono putride” con “lavare panni, e matasse gramigne, ed altri erbaggi, e persino l’interiora delle bestie macellate”.10 A. Nocchi, R. Ceccarelli, op.cit., pp. 38-39.
Le autorità comunali comunque non trascuravano di fare lavori di manutenzione e di ristrutturazione ai serbatoi di captazione delle fonti e alle strutture circostanti. I lavori presso “il cistemino, i trochi o lavatoio di Fontestate” o la pulizia di Fonte della Ciampana o di quella del Crocifisso 11 ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), c. 93v (1746); c. 127r (1753), c. 137v (1755). se erano di ordinaria amministrazione, erano affidati ai salariati comunali (come ad esempio al moderatore dell’orologio), per quelli invece di ristrutturazione o di ampliamento si ricorreva a muratori ed operai esterni. Queste pubbliche fontane furono utilizzate dall’intera popolazione fino agli inizi del Novecento quando fu realizzato l’acquedotto comunale 12 I lavori furono fatti in consorzio con Cupramontana, Maiolati, Castelbellino tra il 1903 e il 1906. rimasero ancora lavatoi ed abbeveratoi per altri decenni ancora; attualmente, dopo un intervento restaurativo (1999) con i fondi europei, hanno una periodica manutenzione.