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160 6.5A CHIESA PARROCCHIALE DI S. SILVESTRO

La vecchia chiesa di S. Silvestro de Curtis ubicata in campagna fu sostituita da quella nuova costruita nella prima metà del Quattrocento. Sorgeva poco lontano dalla porta d’ingresso al castello, dove si incontravano le due strade che immettevano nel paese (strada di Fosso Lungo – viale Matteotti e strada del Borgo – via Leopardi), rimase in piedi fino alla sua demolizione avvenuta, per far luogo alla nuova chiesa, negli ultimi decenni del Settecento.
Tra gli altari della chiesa, già poco oltre la metà del Cinquecento (1567) c’era quello del Crocifisso 98 Zenobi C., L’episcopato jesino di Mons. Gabriele del Monte, op. cit., p. 17. che tanta devozione avrà nel corso dei secoli. La chiesa non era molto grande: agli inizi del Seicento si avverte la necessità di ingrandirla e si decide di raccogliere il materiale necessario per poter incominciare i lavori, eventualmente nei primi mesi del 1613. 99 ASCMR, Consigli (160-1616), cc. 79r, 80r, 2 maggio 1612. Di questo progetto non se ne fece nulla, si costruì invece, negli stessi mesi all’interno del castello, la chiesa di S. Carlo, mentre Gioacchino Branchesi nel 1614 chiede di poter edificare una edicola- cappella all’esterno della chiesa in corrispondenza dell’altare di S. Giacomo: il permesso gli viene accordato a condizione che la strada, quella del Borgo, non rimanga troppo stretta e ci si possa transitare anche con le bestie cariche. 100 Ivi, c. 112v, 16 febbraio 1614.


Negli anni 1639-40 si rifanno le campane e il campanile della chiesa; la pubblica amministrazione decide di partecipare alla spesa per “un bel doppio di campane perpetuo honore di questo nostro castello”; 101 ASCMR,  Consigli (1639-1651), c. 7r, 23 ottobre 1639; c. 17r. sulle campane tuttavia, nella scritta dedicatoria non viene affatto nominata la Comunità, “tutto l’Honore al Pievano”, i soldi previsti allora non vengono dati e del fatto sono informati il Vescovo di Jesi e il Governatore, 102 SCMR, Sindacati (1790-1817), c. 102 r.poi però ci si ripensa, invitati forse a farlo dalle autorità superiori, e si contribuisce alla spesa con le entrate ed i proventi del taglio della legna della selva della Comunità.
La croce del campanile venne promessa da Baldassarre Paziani che nel frattempo però mori; i suoi eredi comunque non ne volevano sapere di far installare la croce sul nuovo campanile, per convincerli si dovette far intervenire il cardinale Tiberio Cenci vescovo di Jesi. 103 Ivi, c. 111v, 22 gennaio 1646.
Nello stesso anno in cui si decideva di rifare campane e campanile, si pensava di fare anche delle logge davanti e al lato della chiesa, 104 Ivi, c. 3r, 17 luglio 1639; un progetto più completo si farà. nel 1647 (lbidem, cc. 136r e 137r,   11 luglio 1647) si realizzarono però diversi decenni più tardi (1725) di fianco alla chiesa stessa e si pensava di farle con il ricavato della demolizione e della vendita di un forno; si ritenevano “di gran utile e comodo del popolo stante che le dette loggie levarebbe li discorsi che si fanno dentro la chiesa con grande scandalo del popolo”. 105 ASCMR, Consigli (1665-1676), c. 92v, 30 aprile 1671.
Il luogo dove sorgeva la chiesa dava qualche problema di staticità, un arco della stessa chiesa si rese pericolante e si pensò di ovviare con la costruzione di uno sperone nel muro di sostegno. 106 ASCMR, Consigli (1676-1698), c. 7r, 13 giugno 1677.


Sul nuovo campanile, costruito neanche 40 anni prima, si abbatte nei primi mesi del 1682 un rovinoso fulmine (“saetta”) facendo una “gran bugia” sulla sua sommità 107 c. 77v, 11 marzo 1682. e rimanendo per oltre 15/18 anni gravemente danneggiato. 108 Ivi, c. 233r, 14 agosto 1695; c. 258r, 8 settembre 1697.
Rotta da qualche tempo anche la campana, nel 1691 “il Popolo se lagna che non si rifà”; 109 c. 181v, 15 luglio 1691. nel novembre il Vicario Apostolico di Jesi ordina di rifarla, la spesa che è di 50 scudi dovrà essere ripartita tra il parroco 15 scudi e la comunità 35 scudi. 110 Ivi, c. 186r, 4 novembre 1691. Sulla decisione superiore però non c’è accordo e si discute ancora, la spesa alla fine sarà divisa a metà tra il pievano e la Comunità, 111 Ivi, c. 200r. comunque prima del 1694 la campana non viene rifatta.
Nella chiesa c’era una grande panca (“Arcibanca”) destinata ai 24 consiglieri, spesso però essa veniva occupata da altri che non trovavano posto altrove, si costruisce allora un’altra “bancha che habbia a servire tutti li ventiquattro e per altri, la quale poi debba colocarsi in mezzo a detta a ritornando in acconcio ancora per lo spartimento fra gli Uomini e le Donne giusta la conformità di molte altre chiese”. 112 Ivi, c. 216v, 3 giugno 1694.
Nei pressi della chiesa non distante dalla canonica, era ubicato il cimitero che nella visita pastorale del 2 settembre 1697 viene descritto essere senza riparo, aperto agli animali e con la possibilità che vi entrino anche i maiali; 113 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite Pastorali, ds., pp. 72 e 77 decisamente migliore tuttavia è la situazione nel 1726, il cimitero è con il tetto coperto, le pareti imbiancate e nel vano di ingresso un piccolo altare. 114 Ivi, p 131.
La chiesa, oltre all’altare maggiore, aveva sei altari laterali di cui quattro a forma di cappella a volta, e si passava da un altare all’altro attraverso porte intermedie; gli altari erano dedicati rispettivamente al Crocifisso (altare della confraternita del Sacramento), al Rosario (dell’omonima confraternita), a S. Giuseppe (della famiglia Leoni), a S. Giacomo (della famiglia Magnoni), a S. Ciriaco (degli Eredi Colini) e a S. Lorenzo. Tutti, eccetto quello del Crocifisso, avevano dipinti su tavola o su tela come pale d’altare. 115 Ivi, pp. 131-132: 187.
La struttura della chiesa era in stile gotico (tre “archi a terzacuto” sostenevano il tetto); la poca profondità delle fondamenta, il terremoto del 1741, la presenza d’acqua nelle zone più profonde del sottosuolo dove poggiava la chiesa stessa, ne avevano compromesso gravemente la staticità con lesioni alle mura talmente numerose da minacciare rovina a tutto l’edificio. 116 ASCMR, Consigli (1766-1780), c. 113r. Ne fu decisa così la ricostruzione.


Il progetto, secondo il biografo, è di Mattia Capponi 117 Annibaldi Giovanni, Mattia e Paolo Isidoro Capponi architetti di Cupramontana, Tip. Framonti-Fazi, Jesi 1878, p. 9. architetto di Massaccio e fu redatto nel 1766, documentazione autografa tuttavia della sua paternità non esiste; 118 Amadio Mauro e Altri, Mattia Capponi Architetto, Jesi 1988, p. 37. il Capponi comunque in quegli anni (1769) compi un sopralluogo con relativa perizia sullo stato idrologico delle mura e dell’intero paese 119 ASCMR, Consigli (1766-1780), cc. 74v e 75r. e non è escluso che possa aver fornito il disegno, non sembra però che ne abbia seguito i lavori se nel 1771 viene interpellato Domenico Spadoni capomastro di Senigallia abitante in Ancona, per “considerare lo stato presente della Chiesa Parrocchiale di S. Silvestro del Castello di Monte Roberto di Jesi”. 120 Ivi, cc.112v-113v.
I lavori iniziarono nel 1769 121 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 76r. e continuarono con alterne vicende per una ventina d’anni. Il Consiglio della Comunità il 21 dicembre 1771 decide di devolvere per la nuova costruzione (“non potendosi diversamente accomodare in altro Luogo per questo Popolo, non essendoci altro Tempio capace, ove possa ricevere il Pascolo Spirituale”) 400 scudi, non in unica soluzione ma 100 scudi all’anno cominciando nel 1772 122 ASCMR, Consigli, (1766-1 780), cc. l lv e 112r. che vengono regolarmente concessi. 123 ASCMR, Registro delle Lettere dei Sigg. Superiori…, c. 165v, 10 marzo c. 191v, 14 febbraio 1773; c. 191v, 5 aprile 1774; c. 195r, 15. luglio 1775.
Promotore della ricostruzione e dei lavori è il parroco don Carlo Antonio Rocchi che non trascura ogni occasione favorevole per reperire spazi più ampi attorno alla chiesa (aveva progettato “di fabbricare un oratorio, ossia stanza da formarci il Battistero, lo restante spazio per farci il Cemeterio”) e materiale edilizio da vecchie case in rovina. 124 ASCMR, Consigli, (1766-1780), c. 162r, 2 giugno 1774; c. 235v, 17 agosto 1777. ASCMR,   Consigli, (1780-1793), c. 41r, 25 maggio 1783.
Nel 1780 i lavori non proseguono per mancanza di denaro, don Rocchi chiede un nuovo contributo al Comune: vengono concessi 150 scudi “in elemosina per la chiesa da compirsi a maggior Gloria di Dio e decoro del paese”, 125 ASCMR, Consigli, (1766-1780), c. 295r, 9 aprile 1780. il contributo comunque verrà autorizzato dalla Congregazione del Buon Governo solo anni dopo, nel 1795 “per l’ultimazione della fabbrica della chiesa”. 126 ASCMR, Registro delle lettere dei Sigg. Superiori, c. 263v, 30 maggio 1795.
Il pievano muore nel 1788, gli eredi si appropriano di tutto il legname anche di quello lavorato, necessario per proseguire la costruzione della chiesa, il Consiglio della Comunità decide così di adire le vie legali per la restituzione del materiale. 127 ASCMR, Consigli, (1780-1793), c. 90r, 27 aprile 1788.
Nel 1790 si richiedono altri contributi (400 scudi) al Comune, questa volta però non vengono dati, tutte le risorse sono finalizzate alla ricostruzione di una casa colonica di proprietà comunale. L’esterno della chiesa era completo, molto ancora restava da fare: “La nuova chiesa del Cappellone all’infuori, [è] tutta rustica nell’interne pareti con finestre alla posticcia e senza volta e piangito peggio di un fenile”. 128 Ivi, c. 123/v, 22 agosto 1790.
Lentamente tuttavia i lavori proseguono; la precedenza nella costruzione degli altari laterali era stata data a quello del Crocifisso già realizzato prima del 1791, in quell’anno infatti si decide di fare l’altare del Rosario uguale in tutto e per tutto a quello del Crocifisso che era di fronte. 129 Ivi, c. 135v, 25 agosto 1791. Vi lavorarono nel corso del 1792 e del 1793 Ermenegildo Pancalli di SenigaIlia (altare), Marco Monti (icona dell’altare, colonnine ecc.), Romualdo Bartolini (doratura della “Gloria”, basi e capitelli). 130 ASCMR, Trasatti (1788-1801), 22 aprile e 22 maggio 1792; 19 agosto e 22 ottobre 1792; 18 ottobre 1793.  
A Serafino Salvati che si trovava a Roma si dà l’incarico di far dipingere quadri-pale d’altare “di buona mano” per l’altare maggiore e l’altare del Rosario; 131 ASCMR, Consigli (1780-1793), 10 marzo 1793. l’incombenza viene affidata al pittore Stefano Casabona di Genova, ma dimorante in Roma, che per il 1794 prepara la tela per l’altare maggiore 132 ASCMR, Sindacati (1790-1817), c. 26v, pagati 60 scudi. “San Silvestro con Madonna” e per il 1797 la tela per l’altare del Rosario 133 Ivi, c. 34r.- “Madonna e Santi” (S. Emidio e S. Andrea Avellino). Si abbellisce con una “cornice con cristalli l’immagine miracolosissima del SS. Crocifisso 134 ASCMR, Consigli (1794-1808), c. 4r, 7 aprile 1795.e si commissiona a Serafino Salvati, ancora a Roma, le lampade per l’altare del Rosario; 135 Ivi, c. 6v, 25 maggio 1795.in attesa di quelle nuove intanto Agostino Antonelli ripristina davanti all’altare l’antica lampada di bronzo. 136 ASCMR, Bollettini (1791-1808), 5 giugno 1796.
Agli inizi dell’Ottocento la chiesa è agibile da qualche anno, ma è ancora incompleta, “la fabbrica, scrive il sindaco del 1808 al Prefetto Casati, è portata avanti dal parroco”. 137 ASCMR,   Registro delle lettere (1808-1809), p. 9, 16 giugno 1808.
Come in tutte le chiese sotto il pavimento viene ricavato il cimitero, non sempre utilizzato, come ad esempio in tempo di epidemie (1817 e 1855), questo è dismesso del tutto con la costruzione del nuovo cimitero pubblico poco oltre la metà dell’Ottocento. Nei primi anni Cinquanta del Novecento tutte le salme furono rimosse e bonificata l’intera area sottostante il pavimento stesso.
La presenza del Capponi a Monte Roberto, come abbiamo accennato, in concomitanza con i lavori della chiesa, ma soprattutto i caratteri stilistici della sua architettura sono a favore della sua paternità. Scrive l’arch. Mauro Amadio profondo conoscitore del Capponi: “La facciata attuale, frutto di sconsiderati rimaneggiamenti, non ha nulla in comune con quella originale, anzi dequalifica nettamente l’architettura nei suoi caratteri stilistici.
Da una vecchia fotografia si ricavano le linee originarie della facciata in pietra intervallata da una doppia fila di mattoni utilizzati per rettifilo, il timpano con le modanature in mattoni, una apertura ellittica in corrispondenza del sottotetto con bordatura in mattoni. La costruzione del prospetto sotto il timpano è composta da un grande arco a rilievo, con diametro di poco inferiore alla larghezza della facciata, dentro il quale sono inseriti il portale in pietra con timpano curvo e la nicchia che ospita la statua di S. Silvestro. Il campanile che si vede nello sfondo è-già modificato nella parte terminale del pinnacolo.
Negli anni Cinquanta in conseguenza di lavori effettuati per il consolidamento della facciata, il Genio Civile ha aumentato lo spessore della muratura portante sovrapponendovi un secondo strato di muratura ed inserendo tiranti con chiavi perpendicolari alla facciata, lungo le strutture portanti della navata. Attualmente il prospetto si presenta in intonaco e cemento per tutta la superficie, privo del portale che è stato tolto e mai inserito [ignorandone dove sia finito], con bordatura nella parte superiore del prospetto e una bordatura circolare al centro; tutti caratteri stilistici che per quanto semplici dequalificano il prospetto, non avendo alcun riferimento con l’originale progetto di Mattia Capponi.
L’inserimento del coro maggiore per l’organo e di due coretti minori, avvenuto nel 1828, ha causato alcune modifiche evidenti all’interno della chiesa, che non prevedeva il coro maggiore e nella quale il prospetto interno, contrapposto al presbiterio, era semplicemente ornato con rilievi delle bordature. La struttura del coro poggia su due colonne tuscaniche senza basamento, diverse dalle altre che ornano la navata. […]
[Nella facciata in corrispondenza dell’organo] è ipotizzabile, nella soluzione effettiva, una grande bucatura, in parte simile a quella prevista e non realizzata per la chiesa suburbana di S. Lucia a Jesi, della quale rimangono i disegni originali. Queste bucature, corrispondendo all’arco inserito nella facciata, avrebbero creato una grande sorgente di luce, proiettata nel presbiterio, che attualmente è posto in ombra, mancando aperture nell’abside e nel catino. Nel nuovo disegno della facciata sarebbe stata inserita successivamente la nicchia con la statua di S. Silvestro che è stata riposta nel sottotetto della chiesa. La pianta si sviluppa sul solo asse centrale con quattro altari laterali. […]
Il presbiterio è molto profondo e in ombra, elemento caratterizzante è la colonna con capitello jonico arricchito con decorazioni varie (festoni).
La pavimentazione è stata ricostruita nel 1956.
Il fonte battesimale originale che era posto all’angolo della navata verso l’ingresso, sulla destra, recentemente è stato ribaltato e ricostruito in loco del primo altare sulla sinistra.
La macchina posta sul catino, nel fondale del presbiterio e costruita con la simbologia dello “Spirito Santo”, attualmente è verniciata in bianco, Mentre era dorata; vi erano inseriti anche alcuni angeli che sono stati tolti e riposti nel sottotetto. […]
La volumetria realizzata sulla sinistra della facciata, compresa tra la navata e le mura [di sostegno] costruita per la Confraternita della Buona Morte [oltre la metà dell’Ottocento], dequalifica l’architettura della chiesa nel suo complesso.
Sarebbe auspicabile, conclude Amadio, la sua demolizione e il ripristino del vicolo fino al campanile, in modo da ottenere la riconferma della chiesa, slanciata al centro della piazza, proiettata dai due vicoli laterali, nel rispetto del progetto originario”. 138 Amadio Mauro, op. cit., pp. 37-38.
Le opere d’arte di maggior pregio che ornano la chiesa sono il coro grande o cantoria e i due coretti con grata in legno intagliato e dorato di Angelo Scoccianti (1674-1726), scultore di Massaccio, realizzati attorno al 1711.
Provengono dalla chiesa di S. Chiara annessa all’omonimo monastero, ubicato a Jesi, lungo l’attuale corso Matteotti nella struttura dell’ex Appannaggio; furono ceduti, dopo la soppressione napoleonica del 1810, alla chiesa parrocchiale di Monte Roberto nel 1828 per interessamento di Serafino Salvati, agente dei beni della Casa Ducale di Leuchtenberger erede del Viceré d’Italia Eugenio Beauharnais al quale chiesa e monastero furono dati in “appannaggio” al momento della soppressione.
Così li descrive Giovanni Annibaldi jun.: “Coro e corretti sono stati eseguiti dalla stessa mano, notandosi in tutti identità di stile, oltre che di motivi decorativi, anche se arricchiti nel coro di altri elementi. Nella parte inferiore dei coretti, configurata a ringhiera, su un fondo campito da pannelli verticale listati ed ornati di globetti si staccano a forte rilievo cespi di acanto con ricaduta di larghe foglie, alternativamente bassi e sviluppantisi per tutta l’altezza della ringhiera stessa. Alla base del cespo centrale sporge una testa di putto, con ali aperte, a tutto tondo rivolta in basso. Nella parte superiore dei coretti da cespi di acanto si innalzano steli girati in ampie volute con foglie che si allargano e si distendono in modo da coprire ogni spazio libero, lasciando solo piccoli spiragli, in aderenza alle esigenze di un convento di clausura.
Nella cantoria, in cui si ripete la stessa decorazione della parte inferiore dei coretti, graziosi putti alati si librano nell’aria in vario festoso atteggiamento al di sotto del coro, quasi a sostenerlo, mentre altri due, sulla fronte, si ergono diritti con le braccia sollevate, sporgendo in corrispondenza di ciascuno di essi, alla base, due teste di putti a tutto tondo alate. 139 Annibaldi Giovanni, Due opere d’intaglio in legno di Angelo Scoccianti dal Massaccio, Tip.Pucci,  Ancona 1971, p. 6, (Estratto dal volume “Rendiconti” dell’Istituto Marchigiano di Scienze Lettere ed Arti Ancona 1971).
“È un’opera di vastissimo impegno scultoreo in quanto convivono, in armonia eccezionale, i motivi vegetali, quelli puramente geometrici e le ‘figure a tutto tondo degli angeli”. 140 Scoccianti Sandro, Gli scultori Scoccianti e i loro allievi, Recanati 1982, p. 85.
“Sono opere di elevato significato stilistico; mentre la tribuna in cui è assente la parte superiore, trae la sua animazione dalla presenza alla base degli angeli in volo che sembrano volerla trascinare in cielo, i coretti affidano il senso del movimento – che pure da essi traspare – al diverso sviluppo del fogliame che passando dal basso all’alto si riduce nelle dimensioni per svilupparsi minuto e ricchissimo”. 141 Scoccianti Sandro, La famiglia degli Scoccianti e l’intaglio in Scultura nelle Marche, a cura di Pietro Zampetti, Firenze 1993, P. 433.
I putti alati che quasi sorreggevano la cantoria, nella notte tra l’8 e il 9 agosto 1993, sono stati rubati insieme ad altri oggetti in legno e non più trovati. 142 cfr. Il Resto del Carlino/Marche, 10 settembre 1993. Voce della Vallesina, n. 31 del 19 settembre 1993, p. 3.
La cantoria era stata acquistata in funzione dell’organo che si voleva installare nella chiesa. Costruito da Francesco Cioccolani da Cingoli e frutto “delle pie elargizioni”, l’organo fu collaudato il 17 luglio 1833; il Comune partecipò alla spesa con 10 scudi, Sante Tesei, relatore della proposta di spesa così si espresse: “Mi sembra sommamente onorevole lo stabilimento di un organo in questa nostra chiesa parrocchiale, unica, che non abbia in questi dintorni l’enunciato decoroso ornamento”, 15 furono i voti favorevoli, 6 quelli contrari. 144 ASCMR, Consigli (1829-1839), p. 136, 23 settembre 1832.
Un “capitolo” fu poi stipulato tra la Parrocchia ed il Comune il 25 luglio 1836 nel quale la pubblica amministrazione si impegnava a dare “una quota nello stipendio dell’organista”; andato in disuso con gli anni, il parroco don Paolo Clementi nel 1867 chiede che sia ripristinato, fondi nel bilancio comunale però non ci sono e la questione è rimandata al bilancio dell’anno successivo. 145 ASCMR, Deliberazioni Consigliari (1866-1876), pp. 57-58, 31 gennaio 1867. Nel 1868 il problema è affrontato indirettamente concedendo il contributo di lire 3 mensili ad Odoardo Gabbianelli per proseguire la scuola di musica con l’obbligo di suonare gratuitamente l’organo nei giorni festivi. 146 Ivi, p. 232, 30 novembre 1868.
La tela di Antonio Sarti (1580-1647), “Martirio di S. Lorenzo” del 1603, posta sulla parete di destra accanto all’altare maggiore, è stata restaurata nel corso del 1995.
La statua di S. Silvestro tolta dalla nicchia sulla facciata durante i lavori di consolidamento degli anni Cinquanta, rimasta per anni nel sottotetto, è stata restaurata da Massimo Ippoliti e collocata sul lato destro della chiesa subito dopo l’ingresso ed inaugurata il 20 agosto 2000.
Tutto l’interno della chiesa è stato ridipinto e restaurato riportando in luce le decorazioni pittoriche che erano state eseguite nella seconda metà dell’Ottocento e successivamente ricoperte. Anche la “gloria dello Spirito Santo” sul catino dell’abside, verniciata di bianco, ha riavuto la doratura originale. Dopo questi lavori la chiesa fu riaperta ufficialmente al culto in occasione della festa del patrono il 31dicembre 1996.