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174 6.6A ABBAZIA DI S. APOLLINARE

Sorge sul luogo di quella che fino a non molto tempo fa era ritenuta l’area dell’antica città romana di Planina scomparsa nel V sec. e della quale l’abbazia potrebbe rappresentare un elemento di continuità, come nella vicina Cupramontana la chiesa plebale di S. Eleuterio che sorgeva entro il perimetro di Cupra Montana, la città romana nei pressi dell’attuale cimitero. 175 Cherubini A., Le antiche pievi della diocesi di Jesi, p. 78. Ceccarelli R., Le strade raccontano, cit., p. 169.
Viene ricordata per la prima volta 1180 quando l’abate di S. Apollinare, Uffredo, firma per primo tra non pochi testimoni, l’atto di aggregazione dell’abbazia di S. Elena sull’Esino a Camaldoli. Secondo testimone fu l’abate Martino del vicino monastero di S. Giovanni d’Antignano in stretto rapporto con l’abbazia di S. Apollinare nella quale forse si trasferirono dopo l’assalto subito dal monastero nel 1284 e alla quale poi passarono tutti i beni. 176 Cherubini A., Arte medioevale nella Vallesina, p. 168, nota 6. Urieli C., La Chiesa difesi, Jesi 1993, P. 194,


La sua origine può essere addirittura anteriore al Mille e collegata alla prima immigrazione di monaci nella valle dell’Esino. La dedicazione a S. Apollinare richiama senza dubbio il dominio esarcale di Ravenna “che si estendeva tra il VI e l’VIII secolo sulla Pentapoli e al qual Santo, patrono di Ravenna, erano dedicate in questo territorio almeno una quindicina di chiese. Peraltro, più che alla fondazione da parte della chiesa di Ravenna, o di monasteri ravennati, viene ipotizzato che il titolo possa richiamarsi alla sola dedicazione della chiesa suggerita forse dal fatto che la zona di S. Apollinare, posta al confine tra la zona bizantina e quella longobarda, segna il punto di incontro tra le correnti benedettine provenienti dal sud (Norcia) e la tradizione ravennate proveniente dal nord”. 177 Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. I, torno I, pp. 274-275.
Tra il Duecento e il Trecento l’abbazia conobbe il periodo di maggiore importanza, i suoi abati ebbero incarichi amministrativi per l’intera diocesi di Jesi e ne assistevano il vescovo negli stessi problemi, mentre le terre possedute arrivarono a circa 160 ettari. Con il Quattrocento, come per molti altri centri monastici, inizia il decadimento che si concluderà nel secolo successivo quando i beni dell’abbazia, ormai vuota di monaci, saranno attribuiti al Priore del Capitolo della Cattedrale di Jesi nel 1539 con bolla di Paolo III.
Qualche decennio più tardi la chiesa è descritta come “rurale e non molto curata”, il Priore della Cattedrale vi fa celebrare la messa solo saltuariamente. 178 Zenobi C., L’episcopato jesino di Mons. Gabriele del Monte, cit., p. 202, visita pastorale del 1573. Alla fine del Seicento va in rovina il tetto e l’intera struttura è totalmente in cattivo stato; 179 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite pastorali, p. 77 (1697). ristrutturato il tetto “si susseguirono deterioramenti ed alterazioni della originaria fisionomia del tempio, il quale venne intonacato e successivamente sfigurato con il rinnovamento del presbiterio, con incongrui altari laterali [fatti dopo il 1726], nuove e altrettanto incongrue finestre in luogo delle originarie, che vennero chiuse, basso soffitto di cannucciaia, nicchie scavate nelle sue pareti per statue di santi, dotazione di suppellettile intonata con l’aspetto ormai irriconoscibile acquistato dall’antica chiesa.
Nuove alterazioni questa subì nel 1928, quando un discutibile restauro (che ebbe per altro il merito di ricostruire il cadente tetto, sia pure ad un livello un poco superiore all’originario) distese una cornice di archetti pensili prima inesistente alla sommità delle pareti e della facciata, eliminò l’antico campanile a vela sopra il lato sinistro della facciata stessa per erigerne uno di sana pianta a fianco della chiesa (di cui turba la visione) e chiuse del tutto la pur non originaria e ampia finestra già aperta sopra il portale.


Un più positivo restauro ha avuto inizio nel 1968 con la stonacatura delle pareti, abbattimento del soffitto a cannucciaia, la rimozione della cantoria sovrastante il portale, ed è proseguito con ritmo più intenso nel 1973 con la eliminazione degli altari, nicchie, porte e finestre degli ultimi secoli, la  riscoperta e riapertura delle originali monofore feritoie e porticine laterali, la ripulitura della parete absidale, in cui è stato scoperto e rimesso in luce un affresco del secolo XVI (su cui era stata successivamente stesa una modesta pittura a olio), restituendo così il tempio alla sua schietta semplicità originaria.
Nell’anno successivo la Soprintendenza ai Monumenti sottolineava il “rilevante interesse storico ed artistico” dell’edificio sacro che giudicava “di grande importanza per la storia degli insediamenti monastici lungo la valle dell’Esino, per la storia della Pentapoli adriatica e le sue relazioni con la chiesa ravennate, per la storia dell’arte locale” […].
Dal punto di vista architettonico S. Apollinare è una chiesa in laterizio di aspetto romanico-gotico a pianta rettangolare navata unica, abside piatta, facciata a due pioventi. […] L’interno si presenta come semplice aula rettangolare coperta a capriate, nella quale predominano le dimensioni della lunghezza e dell’altezza da cui un certo verticalismo dell’ambiente, non privo di una nota di misticismo per la nudità delle pareti e la scarsa luce filtrante dalle poche monofore e feritoie […].
Per la datazione della chiesa attuale non soccorrono documenti scritti. […] I caratteri stilistici e il raffronto con le altre abbazie della Vallesina sembrano riportarla al sec. XIII.

Di gotico infatti c’è soltanto il portale e, se si vuole, un certo verticalismo dello- spazio interno e dell’abside piatta mentre le aperture sono tutte decisamente romaniche e le feritoie costituiscono un indubbio segno di vetustà. D’altra parte non sembra verosimile una ricostruzione della chiesa nel sec. XIV, quando la stagione migliore dell’abbazia era già tramontata. Anche i pochi resti del monastero inglobati nella casa colonica adiacente, hanno carattere romanico, con volte a botte e le aperture a feritoia”. 180 Cherubini A., Arte medievale nella Vallesina, cit., pp. 167-168.    Cherubini A., Arte medievale nella Vallesina. Una nuova lettura, cit., pp. 191-195. Albino Savini Maria Rosa, L’abbazia cistercense di S. Maria in Castagnola, Chiaravalle 1984, pp. 93-94.    Cherubini A., Restauri a S. Apollinare, in Voce della Vallesina, n. 33, 30 settembre 1973
Con i restauri e eseguiti nel 1973 si auspicava che anche la parete esterna dell’abside potesse essere liberata dalla costruzione su di essa insistente e addossata, 181 Cfr. Voce della Vallesina, n. 7, 9 luglio. 1972, p. 5. irrealizzata allora venne portata a termine con i restauri eseguiti nei locali adiacenti verso la fine del Novecento.
L’affresco sulla parete absidale, già descritto nella visita pastorale del 1726, 182 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite Pastorali, ds., p. 138. successivamente ricoperto da intonaco poi di nuovo messo in luce nel corso dei restauri della chiesa, rappresenta la Madonna in trono.


È stato restaurato nel 1973-74 dal prof. Arnolfo Crucianelli. 183 Urieli C., Un affresco del 500 in luce a S. Apollinare, in Voce della Vallesina, n. 24 del 16    giugno 1974. Datato 1508 è stato attribuito di recente ad Arcangelo di Andrea di Bartolo (1518). 184 Pastori Attilio, Gli Aquilini, Jesi 1898, pp. 36, 43-44. La chiesa è stata dichiarata parrocchia nel 1961 dal mons. Giovanni Battista Pardini vescovo di Jesi ed il territorio di sua giurisdizione ricavato da quello delle parrocchie di Monte Roberto, Pianello Vallesina e di S. Leonardo di Cupramontana, comunque già alla metà dell’Ottocento il card. Cosimo Corsi ne aveva ravvisato la necessità. 185 Urieli C., Archivio Diocesano – Visite Pastorali, cit., p. 348.
Presso la chiesa fu costituita da don Vincenzo Ciarmatori, parroco di Monte Roberto, nella prima decade del Novecento una “Unione Agricola Cattolica”, formata dai tanti agricoltori della zona, che partecipò attivamente alle rivendicazioni e alle manifestazioni che i cattolici in quegli anni misero in atto in tutta la Vallesina. 185bis Urieli C., Cattolici a Jesi dal 1860 al 1930, Nicolini, Jesi 1976, pp. 306-331. Il recupero di tutti gli edifici adiacenti e annessi alla chiesa, quelli che sostanzialmente costituivano l’antico monastero successivamente adibito ad abitazioni coloniche, è stato realizzato tra il 1996 e il 2009.