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244 8.7 RIGORE E CARITA’

Nelle comunità dei nostri paesi e castelli si riproponevano in passato, come del resto è sempre avvenuto anche se in scala ridotta, problemi ed episodi di “pubblica moralità” che in agglomerati più grandi in un certo senso erano fenomeni di costume non giustificato ma accettato.
Gli statuti jesini prevedevano che donne “vituperosae et inhonestae” (riprovevoli e senza onore) non avessero ad abitare nelle vicinanze di altre donne di buona reputazione e che dovessero quindi essere allontanate .114 Statuta sive Sanctiones…, liber tertius, rub. XXVI, c. 52v.
Qualche caso analogo si verificò anche a Monte Roberto nel corso del Seicento. Il 4 settembre 1611 il consiglio della Comunità discute “se pare di levare et scacciare da questo castello di Monte Roberto e distretto, per evitare molti incommodi, fastidij, et inconvenienti a questo popolo, à Donna Giustina figlia di Venarino et à Donna Madalena di Travaglino, per le quali, per la loro cattiva vita che tengono, sono continuamente vessati e travagliati, così in giuditio come fama, et huomini e donne da bene et honorate di questo luogo et si vede tuttavia siano per cagionare molti inconvenienti”.
Con 19 voti favorevoli e 2 contrari si decide che “li ss.ri Quattro assieme con due deputati da eleggersi da loro habbiano facoltà di andare avanti alli Ill.mo et Vescovo e Governatore di Jesi o ad altri nostri Sig. Superiori et domandare, et impetrare gratia, che le soprannominate donne stante la mala qualità loro, et cattivo, et infame procedere […] non habbiano né domicilio né habitatione alcuna nel presente luogo né nel suo distretto et territorio, et habbiano sopra ciò autorità di scrivere a Roma, o dove bisognerà per ottenere simil gratia, quando bisognasse”.115ASCMR, Consigli (1608-1616), cc. 70v. e 71r. Le due donne vengono scacciate; qualche mese dopo l’8 dicembre il Consiglio discute la supplica di Donna Mattia madre di Giustina affinché venga tolto l’esilio a sua figlia e richiamata in paese. L’esilio era stato comminato dal Vescovo, era quindi autorità del Vescovo toglierlo, bastava che  
“I Quattro” si rivolgessero a lui “tanto più che la mente di detta Donna Giustina sia di ritornare a bona e santa vita”. Solo 6 consiglieri furono favorevoli alla richiesta da fare al vescovo, 14 contrari.116 Ivi, c. 73r.
Quasi sessant’anni dopo il 14 settembre 1670 al Consiglio si propone “che par di fare atteso che Donna Elisabetta di Francesco Cetolone del nostro paese già meretrice non attende ad altro che rubare uve, fichi et altri frutti nell’Arborate che non ci lassano niente con pericolo grande che un giorno sia la rovina di qualche poveromo et anco per lo scandalo che da nel mal fare”. All’unanimità e senza votare (“viva voce”) si decide “che li Signori Quattro vadino a rappresentare a Mons. Vicario Generale di Jesi il gran danno che fa e scandalo che dà detta Donna con pregarlo che vogli restar servito di levarcela di quà”.117 ASCMR, Consigli (1665-1676), c. 81r/v.
Dopo due anni Donna Elisabetta è incolpata degli stessi reati e di nuovo si ricorre ai Vescovo di Jesi.118 Ivi, c. 106r, 8 settembre 1662.
In una società “sacrale”, cristiana, alle nascite illegittime se pure erano uno “scandalo” si cercava di venire incontro con la pubblica assistenza.119 Urieli C., Jesi e suo Contado, vol. IV, pp. 393-399. Palombarini Augusta, Sedotte e abbandonate -“Madre illegittime” ed esposti nelle Marche di età moderna, Ancona 1993. Palombarini Augusta, I “mamoli buctati”; l’assistenza agli esposti nelle Marche di età moderna, in Studi Maceratesi, 27, 1991, pp. 57-83.{end-tooltip} I figli illegittimi spesso erano abbandonati, “esposti”, davanti alle chiese, alle porte dei conventi, del palazzo comunale, o anche davanti alle “figurette” o a case private.
A Monte Roberto ai primi di aprile 1771, fu trovata una bambina “spuria” nella cappellina-edicola della Madonna in contrada la Figura,120 ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), c. 269v, 2 aprile 1771. non fu la prima né l’ultima. Nei registri dei battesimi della parrocchia e non solo di Monte Roberto, non è raro il caso di incontrare atti di battesimo di bambini “spuri”, senza cognome, senza l’indicazione dei genitori, con il nome della levatrice-madrina che li aveva presentati al sacerdote quando sono figli di ragazze-madri o di vedove-madri o con il nome di coloro che li avevano trovati e che per loro desiderano il battesimo sotto condizione, nel caso cioè che non lo avessero avuto.
Il sindaco Filippo Salvati nel 1808-1809 segnala al Podestà di Jesi alcuni casi accaduti nel territorio di sua competenza in San Paolo e Castelbellino. Una bambina era stata portata nella sede comunale di San Paolo da una donna vedova da diversi anni che asseriva averla trovata di notte sulla porta della sua casa, salvo poi a confessare allo stesso sindaco, qualche giorno dopo, la sua maternità. 121 ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), p. 6, n. 15 cieli’ l l giugno 1808 e pp. 7/8, n. 18 del 14 giugno 1808. Un’altra bambina viene trovata abbandonata sulla porta di un’altra  casa sempre in San Paolo, per la quale però una donna già madre si offre come balia 122 Ivi, p 136, n. 41, 3 febbraio 1809. Una famiglia invece di Castelbellino è disposta a nutrire ed allevare un bambino nato da una vedova e da padre incerto.123 Ivi, p. 78, n. 206, 7 ottobre 1808.
Sono manifestazioni di povertà materiale e morale ma anche, e non solo, di solidarietà tra poveri. Ampia era la fascia di povertà tra la gente, alcuni dei più poveri erano costretti all’accattonaggio. Verso tutti, sia i privati che le pubbliche autorità provavano attraverso l’elemosina a lenire qualche sofferenza anche se non riuscivano a risolvere le situazioni di indigenza più grandi forse delle loro reali possibilità. I poveri del luogo sono conosciuti: ad essi si dà il grano per seminare, se ne distribuisce in occasione di grandi solennità, si permette loro di raccoglier le spighe, si prevedono facilitazioni nell’acquisto di generi alimentari ecc.
Altri poveri chiedevano l’elemosina sulla porta delle chiese, altri ancora arrivavano presso la sede comunale, tra questi ce n’era una categoria speciale erano luterani, calvinisti, ebrei convertiti al cristianesimo che andavano di paese in paese elemosinando qualche volta con una lettera di presentazione del Vescovo e del Governatore.
I registri di contabilità ci hanno lasciato i loro nomi, tra loro ci sono nobili decaduti ed ex-ufficiali austriaci, non pochi si presentano in Comune con una certa regolarità: Antonio Scandiorac di Berna, calvinista, ‘è a Monte Roberto il 6 aprile, il 4 ottobre 1785 e l’11 febbraio 1786; l’ebreo di Senigallia Giovanni Strozzi il 17 ottobre 1783 e il 28 maggio 1785; Giuseppe Giannini e sua moglie Maddalena Makasan, ebrei, il 19 settembre 1786 e il 15 luglio 1787. Ci sono ebrei di Roma, Ferrara, Ancona, luterani provenienti dalla Normandia e dall’Alzazia, calvinisti della Svizzera, c’è un certo Conte d’Aleppo (25 luglio 1783) spogliato dai Turchi cui vengono dati 2 scudi; ci sono tre spagnoli, “già schiavi-riscattati de’ Corsari Barbari” che chiedono l’elemosina per fare il viaggio di ritorno a casa.
Stranieri per lo più, ma ormai fratelli nella fede cristiana che asserivano di aver abbracciato, come quel “turco fatto cristiano”, cui fu fatta l’elemosina di 30 baiocchi nel 1610.124 ASCMR, Entrate e uscite (1609-1620), c. 55r. Non poche erano le richieste di coloro che dicevano di “essersi convertiti dall’eresia”; l’elemosine erano state dal 1765 al 1789 – in cui non c’erano stati mesi a Monte Roberto senza questuanti -, da 2 scudi a 10 baiocchi con una media di 20/30 baiocchi per ciascuno.
In considerazione di questo fatto il Consiglio della Comunità il 9 agosto 1789 decide di non dare più di 10 baiocchi; “se i Signori Residenti si arbitreranno da dargli maggior somma, in tal caso il di più di baj. 10 s’intenda dato del proprio e mai a conto della borsa di questa Comunità”.125 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 110r, 9 agosto 1789.
Ci furono anche avvenimenti particolari, come la persecuzionedei marrani ad Ancona, che davano luogo a pronunciamenti papali. Tuttavia, nonostante ciò, la Santa Sede continuava a elargire al gruppo levantino di Ancona un trattamento particolare e più favorevole in confronto a quello della comunità di Roma, soprattutto in campo economico.