Se per gli “oneri camerali”, per le imposte cioè a favore dell’erario pontificio tra città e contado ci fu una vertenza di quasi due secoli e mezzo, un’analoga lite giuridica si sviluppò per oltre 150 anni tra Monte Roberto e Castelbellino per gli “oneri comunitativi”, per le imposte cioè devolute alla casse delle rispettive comunità.
La conflittualità con Castelbellino era sorta per l’abitudine di alcuni abitanti di quest’ultimo castello, che possedevano proprietà in territorio di Monte Roberto, di non pagare le imposte alla comunità di Monte Roberto;[64]ASCMR, Consigli (1711-1735), cc. 50-51, 1 settembre 1713. tra le ragioni addotte, oltre ad antichi documenti, c’erano che i confini erano stati variati, che il catasto non era in buon ordine, che i terreni in oggetto erano oltre i confini della comunità.[65]ASCMR, Registro delle lettere (1703-1795), c. 41v, 13 settembre 1732.La zona cui si riferivano queste proprietà era sicuramente quella della dorsale tra le attuali via S. Giorgio – il luogo dell’antica abbazia – e via Montali e sue adiacenze.
La vera motivazione, certamente non peregrina, ma che ricordava una situazione antica quando il castello di Castelbellino (Morro Panicale) aveva giurisdizione sul territorio anche di Monte Roberto, c’era realmente: le due comunità, vicinissime, avevano tenuto per tanto tempo indivise giurisdizioni e pertinenze.
Quando poi crebbero e rivendicarono pari autonomia e soprattutto quando le imposizioni fiscali sia erariali che per le rispettive comunità cominciarono ad essere più sostanziose, si iniziò una verifica capillare dei contribuenti nelle casse comunitarie secondo delimitazioni confinarie più precise. La vertenza nacque in questo contesto. La causa però andava avanti con difficoltà: l’11 luglio 1717 il Consiglio Comunale decide di cambiare il “procuratore” a Roma eleggendo Eustachio Negri al posto di Antonio Balestrieri.[68]ASCMR, Consigli (1711-1735) cc. 112v e 113r. Cinquant’anni dopo, nel 1766, Monte Roberto contestò addirittura l’autenticità della “concordia” del 1576, facendo ricercare da due notai di Jesi l’originale sui cinque volumi di protocolli rogati da Ottaviano d’Antonio (Ottaviano Antonini) notaio in Monte Roberto tra il 1563 e il 1616, esistenti negli archivi jesini, i due “fanno fede che in detti Protocolli non vi è alcun istrumento di Concordia o Transazione tra le due Comunità di Monte Roberto e Castel Bellino”.[69]ASCR, Registro delli Bollettini (1711-1775), c. 228v, pagamento straordinario del 18 agosto 1766. Monte Roberto insomma riteneva la “concordia”, “carta informe ed apocrifa inventata oggi dalli possidenti [diCastelbellino] per utile”. Castelbellino di contro affermava essere “troppo oltraggiosa e calunniosa l’asserzione” di Monte Roberto e replicava esserci copia “registrata” nell’archivio di Castelbellino e che la sua autenticità era stata recepita e ritenuta tale dalla sentenza del 1714 e che anzi, Monte Roberto l’aveva esibita in pubblica copia in una vertenza con la stessa comunità di Castelbellino discussa a Jesi il 15 gennaio 1650. Si aggiungeva poi “che è stato sempre ed è in verde osservanza fra i due castelli questa Transazione”.
Di fronte alla sentenza definitiva passata in giudicato del 1714, Monte Roberto cercava ogni argomento per rescindere l’antica “concordia” ma certamente riuscirono vani tutti i tentativi messi in campo. L’estimo secondo il Catasto Negroni del 1669 dava Monte Roberto più ricco nei confronti di Castelbellino, Monte Roberto era però più povero per reddito pro capite, 34,1 scudi su 1.634 abitanti di fronte ai 64,7 pro capite della popolazione di Castelbellino che ammonta solo a 478 abitanti nel 1749 che erano sostanzialmente quelli dei decenni prima.
In questa più diffusa povertà sta con tutta probabilità l’insistenza di Monte Roberto nella lunga lite con Castelbellino: se più proprietari ci fossero stati a pagare, meno avrebbero pagato tutti in proporzione per le necessità di una comunità più numerosa. Non conosciamo la conclusione della lite, i verbali del Consiglio della Comunità non ne parlano più, conosciamo solo una bozza di un “memoriale” che Castelbellino mandò probabilmente al suo procuratore a Roma verso il 1776, secondo cui “gl’uomini di C.Bellino non solo pagano il loro dovere, ma anche di più del loro dovere”, chiedendo che tutto rimanesse, come di fatto rimaneva, secondo la concordia del 1576.[70]Menicucci P., Notizie d’Apiro e di Castel Bellino ms. Archivio S. Leonardo, Cupramontana,Fondo Menicucci, cc. 36-40.
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