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214 7.8 LE OPERE A FUOCO

Per le piccole comunità avere una rete stradale percorribile in ogni stagione era un onere fortemente gravoso. Si trattava di tenere in buono stato sia le strade più importanti che collegavano il paese con quelli limitrofi e la città ne risultavano così avvantaggiati i commerci e le comunicazioni in genere, sia quelle all’interno del territorio tra le diverse contrade. Per le prime si impegnavano nei lavori più consistenti (ponti, selciatura, ecc.) le risorse del bilancio, per le altre, quelle di interesse comunale o vicinale e per i lavori di manutenzione si erano trovate modalità di responsabilizzare e coinvolgere gli utenti stessi e l’intera popolazione del territorio comunale, senza gravare finanziariamente sulle casse della Comunità.
Un sistema questo consolidatosi nel tempo a Monte Roberto e in tutti gli altri paesi, una prassi antica diventata consuetudine e come tale recepita anche dalle leggi dello Stato. Questi lavori di riassetto stradale erano più frequenti di oggi, bastava un forte temporale per renderle intransitabili e specie nella stagione invernale, frequente è il lamento sul cattivo stato delle strade che impedisce le comunicazioni, ritardano affari o pratiche amministrative. Per il ripristino delle strade comunali o vicinali il Consiglio della Comunità incaricava un “deputato” che aveva sufficienti poteri di intervento e ne rispondeva direttamente al Consiglio stesso.
Per “accomodare la strada al di là del fiume” [sulla sponda sinistra, vicino alla fonte della Spina, la strada che conduceva a Jesi], “un deputato, decide il Consiglio della Comunità il 28 aprile 1641, habbia autorità di comandare a persone secondo il solito con bestie per accomodare detta strada” 122 ASCMR, Consigli (1639-1651), c. 24r. senza spesa per il comune.
I proprietari dei terreni erano obbligati a concorrere attraverso i loro coloni al riassetto delle strade; esenti erano i proprietari ecclesiastici (singoli o 16 Congregazioni Religiose) che tuttavia di volta in volta venivano anch’essi coinvolti: le facoltà necessarie erano concesse dal Cardinale Camerlengo, comunicate al Governatore che a sua volta delegava i “deputati […ad] astringere i coloni ancora dei proprietari ecclesiastici e concorrere con i loro carri al […] riassetto di codeste pubbliche strade. 123 ASCC, Lettere del Governatore (1758-1764), lettera del Governatore Mons. G. B. Baldassini, 28 giugno 1758.
Erano prestazioni di lavoro obbligatorie fornite alla Comunità, le cosiddette “opere a fuoco”, giornate di lavoro cioè in qualità di operai (“opere”) da ogni famiglia (“fuoco”) a beneficio di tutta la collettività, quale poteva essere la percorribilità delle strade.
Nel 1808 il sindaco di Monte Roberto scriveva al Vice-Prefetto del Distretto di Jesi: “In questo comune non esistono appalti di opere stradali poiché tutte le strade di questo territorio sonosi fin ad ora ristaurate con le opere di fuoco”, con il lavoro cioè dei coloni e la partecipazione degli altri coloni “che ritengono Bestie aratorie con la somministrazione di una giornata per ciascun paio di esse bestie da carro”. 124 ASCMR, Registro di lettere (1808-1809), n. 195, 3 ottobre 1808, p. 74.
Pio VII con il Motu Proprio del 23 ottobre 1817 recante “Disposizioni dei lavori pubblici di acque e strade”, all’art. 128, riconosceva queste consuetudini locali: “Le strade comunali interne dei luoghi abitati saranno conservate, mantenute, e riattate con i medesimi metodi, e mezzi, che si praticano al presente”. 125 Ibidem, n. 202 de125 giugno 1809, pp. 205-206.
Anche per “il mantenimento dell’unica strada principale […] che conduce a Jesi”, si parla nel 1820 “dell’antica inveterata costumanza [consistente nell’] opera gratuita di una giornata da portarsi annualmente da ogni contadino di questo territorio, veruno escluso, col carro per ogni paio di bestie bovine e vaccine da tiro, e con l’opera manuale gratuita pure di un giorno da ogni individua di qualunque famiglia non avente dette bestie da tiro dagli anni quattordici ai sessanta compiuti”. Ai contadini che venivano con i carri “sarà accordata la gratificazione di baj .[occhi] sei per ciascuno, e di baj .[occhi] quattro ai manuali a peso (cioè a carico) della Cassa Comunale secondo il solito. I renitenti con carro soggiaceranno alla multa di baj [occhi] sessanta per ciascuno se chiamati non interverranno, ed i manuali disobbedienti all’alternativa di baj [occhi] quindici da erogarsi per i miglioramenti di detta strada e da esigersi con i privilegi fiscali dell’esattore communitativo. Sarà poi libero ciascuno di farsi rappresentare da altro idoneo soggetto con l’esibita del ricevuto solito biglietto al sorvegliante l’esecuzione dei lavori”. 126 ASCMR, Consigli (1809-1827), p. 175,11 giugno 1820.
Si continuò così anche nei decenni successivi, probabilmente non però con la regolarità necessaria ed il relativo utile per il bilancio del Comune, se nel 1852 “per render meno gravoso all’azienda Comunale il mantenimento delle strade, e poter con più facilità pensare al riattamento delle vie secondarie, molte delle quali vengono trascurate per assoluta mancanza di mezzi, sebbene si veggano rovinate e guaste, non ché intransitabili nella stagione invernale”, si decide di “istituire in questo Comune le opere così dette a fuoco, delle quali si servon quasi tutte le altre comuni della Provincia per i lavori pubblici”. Oltre all’istituzione, o meglio alla riedizione ufficiale, delle opere a fuoco, si provvide a fissare una “tenue gratificazione a coloro che concorrono con le braccia”, cinque baiocchi al giorno, dato che un “piccolo compenso” già veniva dato a quanti fornivano carri e buoi per il trasporto della breccia. Si ritenne necessario inoltre redigere un Regolamento apposito per le opere a fuoco demandandone la stesura alla “Deputazione Viale”. 127 ASCMR, Consigli (1850-1859), pp. 125-126, 3 ottobre 1852.
Trascorsero- sette anni prima che il Regolamento venisse portato all’approvazione del Consiglio Comunale nel 1859, 128 Ivi, 12 aprile 1859 . le normative furono sostanzialmente quelle stabilite dalla tradizione ed esplicitate nel 1820 l’aggiunta del compenso quasi soltanto simbolico da parte del Comune, l’obbligo era per tutti i maschi dai 14 ai 60 anni; si elencavano gli esenti (ecclesiastici, il Priore, gli Anziani, i Consiglieri e gli Impiegati Comunali, gli invalidi) stabiliva l’orario di lavoro (dal sorgere al tramonto del sole), si regolamentavano le eventuali sostituzioni.
L’istituzione delle opere a fuoco continuerà per molti decenni ancora, al primo dopoguerra (1946-1950), evolvendosi sia nel nome, “giornate a fuoco “giornate obbligatorie”, e nelle nuove normative riguardanti le strade vicinali e consorziali.