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207 7.5 ATTIVITA’ ARTIGIANALI

Se preponderante era l’occupazione della popolazione nell’agricoltura, non mancavano, anzi erano essenziali per la vita della comunità, le consuete attività artigianali come quelle dei calzolai, del sarto, del falegname, del fabbro.
La tessitura delle stoffe per gli abiti o dei lini o delle canape per i corredi delle spose avveniva in casa, specie in campagna, dove il telaio rimaneva in funzione dall’autunno fin agli inizi di primavera quando minori erano gli impegni di lavoro nei campi e le donne potevano dedicarsi più lungamente alla tessitura.
Nel 1809 unico fabbro di Monte Roberto è Natale Gabbianelli mentre Aldebrando Tesei è “fabbricatore di nitri” (salnitro o nitrato di potassio) usati per la polvere da sparo. 78 ASCMR, Registro delle Lettere (1808-1809), p. 192.Nella famiglia Gabbianelli il mestiere di fabbro si tramanda di padre in figlio troviamo così un Antonio Gabbianelli capo-fabbro nel 1884. 79 Camera di Commercio e Arti di Ancona Lista Generale degli Elettori commerciali della Provincia di Ancona (Biennio 1885-1886), Tip. Mengarelli, Ancona 1884. Al Tesei per esercitare era necessaria una “patente di salnitrajo” rilasciata dal Ministero delle Finanze, poteva così “raccogliere le materie nitrose nel Circondario” di sua competenza e farsi aiutare nella lavorazione magari da “commessi” che ugualmente dovevano essere noti alla pubblica autorità.
Verso la metà del Settecento, solo per fare qualche esempio, in qualità di fabbri lavoravano a Monte Roberto Lorenzo Ballante e Bartolomeo Micciarelli; 80 ASCMR, Registro delli Bollettini (1711-1775), c. 133r (1755), c. 220r (1765) come falegnami Giuseppe Campanelli, Giovanni Campana, Angelo Campanelli 81 Ivi, c. 78r (1742), c. 88v (173r) (1760), c. 200r (1763). e Domenico Crudi che si adoperava anche come muratore. 82 Ivi, c. 132r(1755), c. 177r (1761)2 Ad essi si rivolgeva di preferenza il Comune per i lavori di rifacimento delle serrature, degli infissi o dell’arredamento degli immobili di proprietà pubblica (il macello, la scuola, il palazzo comunale, gli edifici usati dal medico o dal maestro di scuola ecc.).
Più numerosi sembrano essere nello stesso periodo i muratori, oltre al già ricordato Domenico Crudi troviamo Stefano Silvestri aiutato nel lavoro dalla moglie e dal figlio, 83 Ivi, cc. 68r/v, 69r (1740), c. 79r (1743), c. 80r (1743), c. 102r (1748). Marco Boria aiutato nel lavoro da una sua figlia, 84 Ivi, c. 88v (1745), c. 94r (1746). Nicola Frondaroli, 85 Ivi, c. 72v (1741). Carlo Corsetti, 86 Ivi, c. 137v (1755). un non meglio identificato Giovanni muratore, 87 lvi, c. 76r (1742). mentre un certo Cecè rotava i mattoni. 88 Ivi, c. 79r (1743).
Anche dell’opera di costoro si avvaleva il Comune per i lavori di muratura nei propri immobili, per la selciatura delle strade, mentre appalti più importanti erano presi, o almeno vi concorrevano, diremmo noi oggi, da imprese più consistenti come quelle di Francesco Lucarini che si aggiudicò l’asta per la costruzione della chiesa di S. Maria della Pietà nel 1762 e della casa colonica di proprietà comunale in contrada Catalano nel 1763 89 ASCMR, Libro de Trasatti della Comunità di Monte Roberto (1755-1777), cc. 37-38, 29 giugno 1763. o quelle di Andrea Montecucchi, Giacomo Pollo, Eleazaro Federici o di Giovanni Antonio Lacchè di Jesi o del milanese, ma residente in Jesi, Francesco Petrini.
La manovalanza nei lavori edilizi, nel trasporto delle pietre per le strade o le case, dell’acqua o della calce era affidata in maniera prevalente alle donne che in confronto del lavoro fatto dalla manovalanza maschile, erano retribuite di meno.
Nello stesso periodo era attiva, aperta sulla cinta muraria di Fosso Lungo (viale Matteotti), la bottega di un vasaio, appartenente ad Agostino Antonelli, che aveva una piccola “fornace da cuocere vasi”. 90 ASCMR, Consigli (1780-1793),c. 58r, 7 novembre 1784.
Una fornace di non grandi dimensioni per cuocere mattoni fu costruita nel 1741 in un podere della Comunità goduto in enfiteusi dal marchese Angelo Ghislieri in contrada Catalano, durò soli pochi mesi, nel febbraio 1742 era già demolita. 91 ASCMR, Consigli (1735-1755), c. 80, 19 marzo 1741. Fu probabilmente una di quelle piccole fornaci che si costruivano in occasione della fabbrica di un edificio quando i mattoni non potevano essere acquistati altrove per la lontananza delle fornaci, si cuocevano allora sul posto o nelle immediate vicinanze del cantiere di lavoro.
 Un’altra fornace doveva esserci nei pressi del paese come ci lascia supporre il toponimo già ricordato Fornace o Lenze.
Un’altra attività che risaliva addirittura al Medioevo era quella della raccolta della feccia, considerata “misera merce”. 92 ASCMR, Consigli (1756-1766), cc. 136-137, 17 agosto 1760. Il fecciaio ripuliva le botti e in rimunerazione del suo lavoro riceveva la feccia che provvedeva a seccare e bruciare, un’operazione questa che non poteva essere fatta nelle vicinanze dei centri abitati “per il fumo e il fetore che tramandano dette fecce bruciate”. 93 Un editto specifico su questa proibizione era stato emanato per Massaccio dal Governatore mons. Alessandro Macedonia il 16 settembre 1791; analogo editto che lo proibiva “nella vicinanza della Città e particolarmente delli Castelli” fu fatto dallo stesso Governatore il 4 luglio 1792. Le zone predisposte per tale “brugiatura” era per Massaccio l’attuale via Fontanella, nei pressi del Parco Elisa Amatori (cfr. A. Nocchi, R. Ceccarelli, Editti e Bandi del sec. XVII, pp. 53-44), o la Pieve Sfasciata, attuale via Pieve, dove nel 1797 poteva “abbruciare le feccie” Antonio Cellottini (cfr. ASCC, Lettere del Governatore (1794 – 1797), lettera del 15 luglio 1797). Le fecce disseccate e il tartaro o taso o, più comunemente “ragia”, cioè il sedimento solido che fa il vino nelle botti, sottoposti al fuoco fornivano le cosiddette “ceneri clavellate”, usate come base per i colori, e la potassa, adoperata in alchimia e in farmacia.94 Rossi Luigi, Semi oleosi, radici e fecce di botte nelle manifatture picene dell’Ottocento, in Proposte e Ricerche, n. 28; n. 1/1992, p. 149. Nelle nostre zone le polveri delle fecce o della “ragia” venivano commercializzate prevalentemente a Senigallia o venivano usate anche “per farle mangiare alli Bestiami Bovini da ingrassarsi” 95 ASCMR, Consigli (1756-1766), c. 146v, 17 agosto 1760. cosa abbastanza comune nelle nostre campagne fino a diversi decenni fa.
Come già sappiamo, la bachicoltura si era sviluppata in tutta la valle dell’Esino e sui colli che la fiancheggiano nel corso del Sei-Settecento, i bozzoli venivano portati sulla “piazza” di Jesi e probabilmente anche in Massaccio dove negli ultimi decenni del secolo si era incrementata “l’Arte di cavar filo da bozzoli da seta”. 96 A.Nocchi – R. Ceccarelli, Editti e Bandi del sec. XVIII, pp. 33-34. I bozzoli prima di essere lavorati venivano “cotti” o “scottati” per uccidere la crisalide nel bozzolo stesso, quest’operazione poteva avvenire nelle filande, in apposite botteghe artigiane o direttamente in casa. A Monte Roberto nel 1809, ci si era attrezzati per questa “cottura di bozzoli” che successivamente erano portati nelle filande di Jesi o di Massaccio, il carbone necessario proveniva da Massaccio, Apiro e Frontale. 97 ASMR, Registro delle lettere (1808-1809), p. 194.
Era questo un lavoro “stagionale” che occupava solo qualche settimana nei mesi di maggio-giugno non molte persone che per gli altri periodi dell’anno dovevano trovarsi un altro lavoro, magari come braccianti agricoli.
Le situazioni di precarietà nel lavoro e di vera povertà per una gran parte della popolazione erano endemiche e non facili da superarsi, molti i poveri che di casa in casa chiedevano solo un pezzo di pane. Queste situazioni erano aggravate inoltre dalle periodiche scorrerie di uomini armati nelle campagne che si facevano consegnare il grano, come accadde nel 1764.
Il fatto, oltre ad allarmare la gente, allarmò il Consiglio della Comunità che decide di rifare la porta pubblica del castello, di aggiustare le mura che lasciavano passare gli estranei, di mettere un custode di guardia nel magazzino dell’Abbondanza situato nel pubblico palazzo “appiè della scala de Palazzo, detta la Stufa Vecchia”. Il Consiglio le riteneva “misure non superflue in queste calamitose circostanze” 98 ASCMR, Consigli (1756-1766), c. 264r/v. Il fatto probabilmente non era nuovo e a Monte Roberto in molti avranno certamente ricordato quanto era avvenuto in Massaccio negli ultimi giorni di giugno 1757 quando una “Truppa di Contrabbandieri e Malviventi” con armi in mano erano entrati in paese mettendo in fuga la gente presente ad una fiera. 99 ASCC, Lettere del Governatore (1756-1759), lettera del Governatore mons. G. Battista Baldassini del 3 luglio 1757. La stessa venuta e presenza degli zingari poi era di turbativa; i responsabili della pubblica amministrazione potevano, se si presentavano nel loro rispettivo territorio, “far suonare le campane all’armi, farli inseguire, o arrestare”, secondo le disposizioni vigenti. 100 Ivi, lettera del Luogotenente Morselli dell’8 giugno 1755.
Malviventi, facinorosi, zingari, anche se erano espressioni, agli occhi dei più e dei benestanti, di delinquenza comune, facevano parte di quella larga fascia di povertà diffusa con radici antiche e che non di rado si esprimeva in manifestazioni di forte esasperazione.