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210 7.6 LA TASSA DEL MACINATO

Quando il 1° gennaio 1869 andò in vigore l’imposta sulla macinazione del grano e dei cereali, in genere facendo scoppiare nei mesi successivi gravi tumulti e creando non poche difficoltà ai governi fino al 1880 quando essa venne definitivamente soppressa, non fu certo una novità.
Era una tassa antica di secoli, l’avevano messa allora i Pontefici nello Stato Ecclesiastico ed ora i nuovi governanti del Regno d’Italia con lo scopo di assicurare alle casse dello stato un reddito facile ed immediato, evidentemente essendo la tassa a larga base e colpendo il macinato dei ricchi e dei poveri, i più penalizzati ovviamente erano quest’ultimi. Da sempre: con il governo pontificio, con quello francese, quello pontificio di nuovo o con quello unitario.
Sisto V con un documento dell’8 luglio 1589 aveva stabilito che tutti gli abitanti del contado dovessero macinare nei molini della Comunità di Jesi: solo in caso di necessità si poteva accedere ad altri molini, la tassa della molitura comunque doveva andare alla Comunità di Jesi. La prescrizione di Sisto V riprendeva quella di Sisto IV del 1483 che pur rifacendosi agli statuti più antichi di Jesi non appare nella loro edizione a stampa dei 1516 e del 1561. 101 Niccoli M. Paola, Legislazione molinatoria a Jesi in età moderna, in Nelle Marche Centrali, vol. I, pp. 716-718. Uriel i C., Jesi e il suo Contado, vol. IV, pp. 297-298.
La popolazione di Monte Roberto si recava al Molino della Torre 101bis ASCC,Editti e Bandi (1585-1699), intimazione del Governatore Mons. Andrea Bentivoglio del 5 novembre 1664. o Molino delle Torrette che apparteneva, insieme a quello di Rosora, a Jesi, o non funzionando questo, al Molino Franciolini al di là del fiume che però era privato, oppure al Molino della Cesoia in territorio di Massaccio sotto Villa Ghislieri. Recarsi in questi molini, pur pagando la tassa dovuta alla Comunità di Jesi, era molto scomodo, così la Comunità di Monte Roberto tra il Sei-Settecento, come abbiamo visto, parlando del torrente Fossato, tenta di fare un molino, ma anche questo progetto trova l’opposizione di Jesi.
Macinare il grano e altri cereali era uno dei problemi più sentiti da tutti: la popolazione di Massaccio, ad esempio, lontana dai molini della Comunità di Jesi si recava presso i molini lungo l’Esinante e quando questi non erano in attività per mancanza d’acqua, ci si portava al Molino di Bruscara ubicato nei pressi di S. Elena in territorio di Serra S. Quirico. Sia la gente di Monte Roberto come quella di Massaccio era consapevole di agire contro le disposizioni pontificie, costretta dalla necessità di macinare e dalla difficoltà di lunghi percorsi su strade poco praticabili. Motivazioni queste, addotte, nella seconda metà del Settecento, da Massaccio in un ricorso a Roma presso la Congregazione del Buon Governo nei confronti del documento di Sisto V chiedendo “d’andare a macinare dove ciascuno pare e piace”. La richiesta era avvalorata poi dalle risoluzioni della stessa Congregazione che aveva concesso nel 1629 e nel 1644 alla Comunità di S. Maria Nuova, aggregata a Jesi, “la libertà di poter macinare dove si vuole”. 102 ASCC, Miscellanea (1761-1770), vol. H, ricorso a Roma per macinare dove si vuole. Clemente XIV poco dopo con un breve del 1770 annulla la disposizione di Sisto V, così i cittadini e gli abitanti dei castelli possono recarsi a macinare dove vogliono. 103 Niccoli M. Paola, op. cit., p. 719.
Decaduta la privativa della molitura non erano state annullate però le tasse e le “gabelle” sul grano, sul pane o sul macinato che si erano andate accumulando negli anni. 104 Urieli C., op. cit., pp. 298-299. E se un problema era pagare, problema di non poco conto qualche volta era anche dove e come pagare. Per la tassa del “Paolo del macinato”, ad esempio, venne previsto nel 1641 che essa si dovesse pagare a Jesi: il Consiglio della Comunità di Monte Roberto osservando il “gran strapazzo di andare a far bollette a Jesi, atteso che da tanto tempo in quà non ci sia nessuno andato a Jesi a far bollette”, conclude che “non si à il dovere che si vadi hoggi”. 105 ASCMR, Consigli (1639-1651), c. 36r, 3 febbraio 1642. Comunque dopo qualche mancato incontro tra i delegati del Governatore, l’appaltatore della gabella e le autorità di Monte Roberto, si ottenne di fare le bollette in paese affidate a due delegati che “debbono fare lo spartimento et haver riguardo che chi più macina più paghi con haver riguardo sopra il tutto alla povertà”. 106 Ivi, c. 73r, 24 febbraio 1642 Non si riesce tuttavia a trovare un esattore o un appaltatore per questa nuova tassa, il Governatore informato di ciò ordina che chi già raccoglie le altre gabelle lo faccia anche per questa.107 Ivi, c. 39r, 6 aprile 1642.
Le tasse non venivano soltanto e sempre aumentate, qualche volta venivano anche diminuite o qualcuna addirittura soppressa. È il caso della “gabella dei due giulij” per rubbio di grano e minuti che viene macinato, che papa Clemente IX appena eletto il 20 giugno 1667 riduce ad uno. Sei mesi dopo, alla vigilia di Natale, il papa, “nella solita applicatione al sollievo de suoi sudditi”, desiderando togliere anche l’altro giulio sul macinato e non potendolo fare per ragioni di bilancio, decide “di sgravare almeno li minuti come quelli che sono usati solamente dalla gente più povera”. 108 ASCC, Editti e Bandi (1585-1699), editto del Tesoriere Generale della Camera Apostolica Buonaccorso Buonaccorsi del 23 dicembre 1667. Un “giulio” equivaleva ad un “paolo”, cioè a 10 baiocchi. Ancora dunque un giulio sul grano macinato, mentre viene soppresso quello sui minuti cioè sulle granaglie (miglio, panico, ecc.) usate dalle categorie più povere per fare il pane.
Il problema del pagamento della gabella o dazio del macinato si ripropose nel 1809. Un “avviso” dell’Intendente di Ancona del 1° gennaio 1809 prevedeva che “col primo del prossimo luglio i dazi di consumo si esigeranno secondo il nuovo piano; in conseguenza quelli che porteranno formento a macinare, Macellari, gli Osti, Locandieri, Bettolieri, e Venditori di vino al minuto, dovranno presentare il genere e pagare il dazio nelle mani del Ricevitore del Circondario”.
Capoluogo del 6° Circondario del Dipartimento del Metauro era Massaccio che comprendeva Monte Roberto con Castelbellino e S. Paolo, Maiolati con Scisciano e Poggio Cupro, Monsano con S. Maria di Monsano. 109 ASCC., Decreti e Votificazioni (1808-1809), vol. 11, 331. Di fronte a questa prescrizione il sindaco di Monte Roberto raccoglie il malcontento popolare e scrive all’Intendente Gabrielli osservando come la povera gente prima di macinare il grano debba recarsi al Massaccio per pesare il grano, pagare il dazio, ritirare la bolletta e recarsi infine al molino. Molti, scrive, “vanno al molino con il formento portato sulle loro spalle o in testa; anche dopo che questa povera gente si lambicca il cervello per trovare il denaro e fare acquisto del genere e pagar dazio, è intollerante, che abbiano a soffrire inutilmente anche il peso di tragittare tutto il giorno per macinare alle volte anche un quintale, o mezzo quintale di grano”. Aggiungeva il sindaco che anche il governo pontificio nel 1802 di fronte ad un provvedimento dell’anno prima “fu costretto di sospender, ed abbandonare un tal piano in faccia ai reclami infiniti di questi popoli” in considerazione “che i paesi sono collocati per lo più in colline montuose, ed i molini all’opposto vicino ai fiumi o torrenti […] sebbene il peso doveva eseguirsi, ed era fissato in ogni paese” 110 ASCMR, Registro di Lettere (1808-1809) n. 187, del 14 giugno 1809, pp. 196-198
Protestava il sindaco di Monte Roberto, aveva protestato qualche giorno prima il Sindaco di Maiolati che otteneva il permesso “a- sollevare quella popolazione […] di doversi trasferire al Massaccio” Con il frumento e pagare il dazio e di poter fare invece queste operazioni a Maiolati. 111 Ibidem, n. 202 de125 giugno 1809, pp. 205-206.
Il problema comunque veniva risolto il 27 giugno 1809 con un “Avviso” dello stesso Intendente che oltre a moltiplicare i Ricevitori, proprio per le lunghe distanze, prevedeva che la “denuncia venisse sostituita all’obbligo della presentazione del genere”. Il Prefetto Casati il 22 luglio 1809 in un “Proclama” a tutti gli abitanti del Dipartimento, sottolineando questa e altre novità, scriveva: “Se non ostanti le premesse facilitazioni, e concessioni trovasi ancor suscettibile il piano di qualche modificazione si parli con confidenza alle Autorità locali, si porgano suggerimenti ammissibili, e verranno ascoltati”. 112 ASCC, Decreti e Notificazioni (1808-1809),vol. II, p. 363. Il sindaco di Monte Roberto e quello di Maiolati avevano operato in questo senso ed erano stati ascoltati.
Nel 1816 con il Motu Proprio di Pio VII del 6 luglio (art 199) si sopprime nelle Marche e nel Ducato di Camerino il dazio del macinato già in vigore nel restante Stato Pontificio: la disposizione è resa operativa con notificazione del 5 agosto 1816 da parte del tesoriere Generale. 113 ASCC, Editti Bandi e Decreti (1815-1818), p. 194. Dopo gli avvenimenti insurrezionali del 1831, il dazio del macinato viene ripristinato a cominciare dal 1° gennaio 1833 nella stessa misura di prima. 114 Notificazione del Card. Bemetti, Segretario di Stato, del 24 dicembre 1832 in Raccolta delle leggi e di pubblica amministrazione nello Stato Pontificiò, Roma 1834, vol. III, p. 163.