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225 8.3 IL FORNO

A Jesi e nei castelli c’erano forni di proprietà pubblica “forni del pan venale” dove il pane si vendeva a prezzi calmierati e forni liberi, “forni de’ particolari”, che il Comune ugualmente vigilava controllando il peso e la qualità del pane.
Gli statuti avevano prescritto norme sia per i fornai 18 Statuta sive sanctiones…, liber quartus, rub. III, “De fomariis”, c. 71r/v. che per i venditori di pane 19 Ivi, rub. VI, “De panivendulis”, c. 73r/v. soffermandosi anche sulla qualità del pane che doveva essere ben cotto e sugli aspetti igienici della sua commercializzazione: sopra il contenitore del pane doveva esserci una tovaglia bianca e bella per coprirlo (“unam toballiam albam et pulcram cum qua teneant copertum panem”), né il pane poteva essere toccato ma indicato al momento dell’acquisto con un apposito bastone.
Anche i Governatori nei loro editti prescrissero ai fornai di fare “pane buono e di giusto peso”. 20 Editto del Governatore mons. Jacopo Angeli del 15 luglio 1651, ‘n A. Nocchi, R. Ceccarelli, Editti e bandi del sec. XVII, cit., p. 23. Alle norme generali se ne aggiungevano altre (“capitoli”) al momento del periodico appalto dei forni da parte del Consiglio della Comunità.
L’asta relativa avveniva a Jesi nel Palazzo Priorale come quello del Camerlengato Ordinario; il Consiglio però nel 1781 si rivolge alla Congregazione del Buon Governo chiedendo di poter fare l’asta a Monte Roberto come già vi si svolgevano quelle per il macello, per la “Foglia dei Mori Celsi”, per lo scapeccio della pubblica selva ecc. Le motivazioni addotte erano le difficoltà per i viaggi a Jesi, le spese per la cavalcatura e il pranzo di quanti dovevano assistere all’asta stessa 21 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 9v, 11 marzo 1781; la richiesta non ebbe risposta positiva, infatti il 14 luglio 1784 il “trasatto” del forno del pane venale si svolse come sempre a Jesi (Ivi c. 56v).
Nonostante gli editti dei Governatori e le clausole molto dettagliate che regolavano l’affitto dei forni, il servizio prestato dai fornai con qualche frequenza era soggetto ad osservazioni critiche e a reclami.
Nel 1667 in Consiglio si lamenta che il “panifacolo” non cuoce il pane nel forno della Comunità, 22 ASCMR, Consigli (1665-1676), cc. 52v e 53f, 29 settembre 1667. mentre nel 1733 l’abate Stefano Consoli, Vice-gerente in assenza del Governatore, “minaccia pene severissime contro il publico fornaro che non tiene pane sufficiente ed in specie il pan bruno che è quello necessario per li poveri ed in oltre che il poco pane che si vende è male custodito e non ben cotto”.23 ASCMR, Registro delle lettere de’ Signori Superiori…., c. 48r, 12 giugno 1733.
L’affittuario del forno Giuseppe Antonio Bianchi nel 1760 è fatto oggetto di pesanti recriminazioni: non cuoce bene nel forno pubblico il pane che alcuni fanno in casa, come invece era previsto nei “capitoli” di affitto, trattiene “a suo uso di casa” le fascine che gli vengono date per scaldare il forno (“per ogni tavola di pane due fascine […] ed una pagnotta per mercede e la tavola s’intende di sedici Pizzicate, o palate, e la Palata costa otto Pagnotte”), tanto che, “abbenché ritenga longo tempo [nel forno], pure il pane [è] molliccio e si riammassi”, inoltre si sente dire che voglia pretendere introdurre a suo favore la privativa, con obbligare li particolari di questo luogo a servirsi del solo forno di questo Publico che egli tiene in affitto, non debbano valersi della libertà che ognuno ha di cuocere il pane in qualunque forno gli piace”. 24 ASCMR, Consigli (1756-1766), cc. 119v e 120r, 3 febbraio 1760.
Il forno poi doveva servire solo per cuocere il pane, “e però non possa il fornaro in alcun modo, né in alcun tempo servirsi di detto forno per seccare legna, o frutti di veruna sorte, né bocci da seta, né filati né panni”. Doveva altresì il fornaio cuocere bene il pane e se per imperizia o negligenza “facesse venire il pane malcotto o brugiato debba pagare alli panizzanti col prezzo in denaro alla ragione della tariffa corrente”. 25 ASCMR, Trasatti (1755-1788), c. 17v, 18 giugno 1777.
Con l’affitto dei forni si guadagnava bene: le clausole sottoscritte non sempre venivano osservate, si provava a barare sul peso e sulla qualità del pane, si cercava di non pagare il grano al prezzo di mercato, si approfittava dei tempi di carestia ecc. 26 Urieli C., Jesi e il suo Contado, vol. IV, pp. 296-297. e questo nonostante le normative dei bandi dei Governatori.
Se così era in città e nei paesi più popolosi, a Monte Roberto ci si è trovati in qualche occasione a non avere alcun concorrente per l’affitto del forno a motivo dei “Birri [guardie] del Governo di Jesi che arrivando in paese prendono il pane senza pagarlo”, e dovevano essere non pochi e non poche volte a farlo, se non si trova chi partecipa all’asta del forno proprio per questa ragion, il Consiglio della Comunità comunque decide di ricorrere alla Consulta e alla Congregazione del Buon Governo. 27 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 93r, 13 luglio 1788.
Il prezzo del pane era fissato periodicamente (anche ogni 15 giorni da Gonfaloniere e dai Priori di Jesi a seconda del prezzo del grano registrato sulla piazza e al mercato, ad esempio il 1 e il 15 settembre e il 1 novembre 1758 una soma di grano rispettivamente si pagò scudi 3.70, 4.10 e 4.40 da aggiungervi 30 baiocchi di tassa per soma; con un paolo (10 baiocchi) invece il 1 settembre si comprava 15 libbre di pane bruno, 13 libbre e 7 once e mezza il 15 sette libbre e 9 once il 1° novembre, con lo stesso denaro si poteva acquistare, alle date, “pane bianco” del peso progressivamente diminuito di quattro libbre. 28 ASCC, Miscellanea (1751-1760), IX.
“Pane bianco” e “pane bruno”, cioè di prima e seconda qualità; il secondo, cui facevano ricorso i più poveri e la gente di campagna, era fatto con farina poco stacciata o mista a farina di ghianda o di granturco, se non addirittura di sole ghiande, granturco, miglio o panico in tempi più difficili. Il “pane bruno” doveva essere sempre disponibile, insieme al “pane bianco”, nei forni del “pan venale”.
Chi si aggiudicava l’asta del forno doveva dare una garanzia approvata a sua volta dal Consiglio della Comunità, così il 7 settembre 1783 per Silvestro Paolucci “deliberatario del Forno del Pan Venale di questa Comunità a sfamo del Popolo di questo Paese” fu accettata la garanzia di Giulio Paolucci; lo stesso giorno fu accettata la garanzia di Domenico Giovanni Moretti per suo figlio Bernardino “fornaro del Pane de Particolari di questo luogo”.29 ASCMR, Consigli (1780-1793), c. 43v.